Un milione di famiglie vive grazie al lavoro irregolare, volgarmente detto “nero”. Lo dice il rapporto annuale dell’Istat.
Oltre un milione di famiglie in Italia vive grazie al reddito da lavoro nero. Questo e altri dati poco rassicuranti sono contenuti nell’annuale rapporto Istat sulla situazione del paese che è stato presentato oggi dal presidente Gian Carlo Blangiardo in Parlamento.
In particolare, al lavoro nero si aggiunge la difficoltà per i giovani di migliorare le proprie condizioni economico-sociali (un ascensore sociale che porterebbe solo più in basso) e la crisi di liquidità dovuta al Covid.
Inoltre, sono ulteriormente calate le nascite (426mila) ma per il 2021 se ne attendono ancora meno (396mila).
Un dato più noto e scontato ma comunque degno di approfondita riflessione è quello su c.d. “smartworking“: tra i mesi di aprile e maggio hanno lavorato da remoto circa 4,5 milioni di persone (cioè il 18,5% degli occupati) su un potenziale di circa 7 milioni di lavoratori mentre nel 2019 solo 408mila lavoratori dipendenti l’avevano fatto.
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Lo “shock organizzativo” nelle famiglie e le donne sempre meno occupate
Il rapporto annuale Istat riguarda anche le diseguaglianze (una parte del capitolo 3) e non manca di indicare che la pandemia e la quarantena hanno causato un vero e proprio “shock organizzativo familiare” in “tutti i nuclei con figli minori ed entrambi i genitori, o l’unico genitore, occupati/o”.
Spiega l’Istituto che “Si tratta di quasi tre milioni di famiglie. Una simulazione porta a stimare in quasi 900 mila quelle più esposte a tale criticità, a causa della professione dei genitori che ha richiesto la presenza fisica sul luogo di lavoro”.
Le donne, al contempo, ne raccolgono gli enormi svantaggi.
Il primo tra tutti, legato al momento contingente: la riduzione dell’occupazione è “più accentuata per le donne (-0,8 per cento a marzo e -1,5 per cento ad aprile), in confronto agli uomini” e aggiunge l’Istat “a motivo della loro maggiore concentrazione nel terziario”.
Lavoro edile (foto Pixabay)Ma anche l’incidenza del lavoro da casa è più frequente tra le donne rispetto agli uomini (ad aprile 23 per cento contro 15 per cento).
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