Come si lavora con il coronavirus che dilaga? Le aziende chiudono oppure adottano precauzioni di qualche tipo? Qual è l’approccio che i datori di lavoro italiani stanno adottando?
Le aziende si stanno organizzando come meglio credono e ritengono. Per il momento infatti se è vero che sono “banditi” il Carnevale di Venezia e quello di Ivrea così come lo sono alcune partite di calcio e ogni tipo di riunione pubblica o privata, il lavoro deve continuare e chi non può svolgerlo da casa lo continuerà a fare dalla sede usuale.
Infatti, sicuramente lo smart working è oggi finalmente vissuto come una risorsa risolutiva e sta permettendo a moltissime persone di non lavorare in ufficio e magari soprattutto di prendere i mezzi per raggiungerlo.
A tal proposito, Il Sole 24 Ore passa oggi in rassegna le scelte aziendali di molti importanti gruppi italiani. Se ne trae un quadro interessante e per certi versi uniforme.
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Partendo dal lusso, Giorgio Armani ha chiuso gli uffici di Milano per tutta la settimana così come le sedi produttive di Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, Trentino e Piemonte.
E’ molto interessante capire come sono trattate le astensioni dal lavoro di coloro i quali non possono fare smart working. Armani ad esempio pare non tratterrà le ferie.
Sempre Giorgio Armani oggi ha presentato la propria collezione a una sfilata a porte chiuse. Così ha fatto anche Laura Biagiotti.
Invece Tod’s avrebbe puntato sullo smart working.
Anche Gucci ha limitato le trasferte, previlegiando video-call, lo Smart Working per i dipendenti di Milano.
Passiamo ora al settore telecomunicazioni. Tim nelle regioni del nord Italia ha deciso di “sospendere gli interventi tecnici non urgenti mentre per gli interventi non rinviabili saranno adottate tutte le misure e dotazioni necessarie ai tecnici per operare in totale sicurezza”. Ha anche “favorito l’accesso allo Smart working e incentivato l’utilizzo di strumenti di comunicazione a distanza per limitare gli spostamenti”.
Enel ha disposto lo smart working «fino a data da destinarsi per tutti i colleghi che lavorano o hanno residenza in uno dei comuni interessati da ordinanze pubbliche» relative al coronavirus.
E’ evidente che se lo smart working è risultato lo strumento vincente solo alcune aziende hanno proceduto alla sospensione dell’attività di chi non può lavorare a distanza e ci si domanda che grado di sensatezza abbia tale scelta e se sia corretto demandarla ai privati.
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