La virologa Maria Rita Gismondo ha rilasciato un’intervista a Repubblica, in tema di coronavirus. Una stretta di mano? “E certo, tanto poi ce le laviamo”. E la mascherina, lei non la porta. “La mettiamo quando esaminiamo i campioni. E i pazienti infetti, certo.Ma per il resto… meglio una maschera di Carnevale”. Maria Rita Gismondo è una ragazza di 66 anni, una di carattere brusco, una che va di fretta. Ha troppo da fare, il laboratorio di cui è direttore – Microbiologia clinica, Virologia, Diagnostica bioemergenze del Sacco – lavora senza pause da due settimane. Nel suo ufficio al terzo piano tiene una riproduzione del Quarto Stato di Pelizza da Volpedo.Cioè la gente, cioè noi, alle prese con il Covid-19, la paura, e anche la psicosi.
“Bene. Significa che mi stanno ascoltando
Lei è stata attaccata, quando ha chiesto di abbassare i toni, tre giorni fa. Burioni, ad esempio.
“Lasciamolo alla sua gloria”.
Cosa dobbiamo fare, allora.
“Aspettare. No allarmismo, molta attenzione e molto lavoro da parte nostra. Spiegare le cose alla gente, informare, dicendo onestamente che le cose possono cambiare in bene o in peggio. Ma dire le cose vere con molta obiettività. C’è un bombardamento di notizie che fomentano la paura, c’è stato un lavaggio del cervello collettivo. Sembra che siamo in guerra. Ma non siamo in guerra”.
Forse la gente non ha capito. Lei come spiegherebbe il virus a una famiglia? Lei ha famiglia o vive sempre qua dentro?
“In queste settimane sono andata a casa a dormire, due-tre ore a notte. La mia famiglia sono due figlie e una nipotina di 9 anni. E un cane femmina Nala, quella del Re Leone. Siamo un gineceo”.
Quindi, cosa ha detto alla nipote?
“Mi ha vista in televisione e ha detto “la nonna ha il coronavirus!”. Mia figlia le ha spiegato che studio il coronavirus. Allora mi ha chiesto “sei contagiosa, contagi anche me?””.
E lei?
“Le ho risposto no. Ma ai bambini servono spiegazioni. Non devi dire che non sta succedendo niente, devi dire che è vero, c’è un virus che può passare da una persona all’altra. E se si sta male con la tosse e la febbre, allora si sta a casa. L’ho tranquillizzata. Infatti, quando ha visto una mia foto con mascherina, mi ha domandato se mi ero travestita da microbiologa per Carnevale”.
Ma queste mascherine, servono?
“No”.
Anche agli adulti, servono spiegazioni.
“Chi si interessa di salute ha il dovere di spiegare. Così tutti i papà e le mamme si tranquillizzano. Se invece li invadi con video di città deserte, ambulanze a sirene spiegate eccetera, crei il panico. Tutte le misure adottate possono sembrare un’esagerazione, dal punto di vista scientifico. Ma bisogna dare risposte alla gente. Poi, spesso la salute viene strumentalizzata a livello politico. E qui mi fermo. Ma è inaccettabile”.
Quante persone lavorano in laboratorio?
“Sei medici, ora saliti a otto. E 15 tecnici. Turni estenuanti, ma non chiudiamo mai, neanche la notte”.
Come è cominciata?
“Quindici giorni fa, con poche richieste di analisi. Poi è scoppiato il caso Codogno. E sono arrivati centinaia di campioni”.
Lei dove si è laureata?
“A Catania. Me ne sono andata perché non condividevo il modo di gestire la ricerca e i ricercatori”.
Lei è associato di Microbiologia.
“Sì, ho fatto due volte il concorso per ordinario, una volta mi hanno detto che i miei lavori scientifici non avevano respiro internazionale. La seconda che avevano troppo respiro internazionale. Ma i giudizi delle commissioni sono insindacabili, e ho deciso di accettare. Però una volta ne ho fatto annullare uno a Palermo”.
Ci racconti, allora.
“Sono stata bocciata con 25 pubblicazioni legalmente valide. Aveva vinto uno con quattro”.
E come è finita?
“Concorso annullato. Ma la volta dopo ha rivinto la stessa persona”.
Un bell’ambiente.
“Eh sì. Infatti più volte ho avuto voglia di andare via dall’Italia, anche di recente. Sono rimasta per non dimenticarmi di essere anche una mamma. E poi ho i miei giovani: borsisti, ricercatori, specializzandi.
Nella mia carriera ne ho avuti un’ottantina”.
E che carriera hanno fatto.
“La maggior parte li ho aiutati ad andare all’estero. Londra, Commissione Europea, uffici della Nato… Quando un ragazzo mi chiede di frequentare, ho il cuore frantumato. Vorrei che si appassionasse alla ricerca, ma so com’è questo mondo”.
Lei fa altro nella vita, oltre a occuparsi del laboratorio e del gineceo?
“Ah, mi piace cucinare, e scrivere. Ho scritto di donne disgraziate, ma anche un libro sulla mia famiglia a Catania, con le ricette di casa. Come lo scapece, piatto preferito da Federico II”.
Quanto durerà questo virus?
“Non penso che la settimana prossima si possa non parlare di coronavirus. Tra l’altro, a me non piacciono i virus, preferisco i batteri. Però, quando tutto questo sarà finito, mi farò fare un ciondolo d’oro a forma di coronavirus, che è bellissimo. Poi me lo metto al collo. Sarà il mio trofeo. E si ricordi bene una cosa”.
Dica.
“Si lavi le mani. Il bagno è la porta di fronte”.