Il racconto di un italiano a Londra: lì lavora nella finanza: «In aeroporto nessun controllo, la dottoressa era preoccupata per le scarse misure di prevenzione
Alla partenza da Caselle mi hanno preso la temperatura – racconta Silvio, tornato a Ivrea per il celebre carnevale – Al mio arrivo a Gatwick non mi ha fermato nessuno. E non ho visto alcun termoscanner» Noi abbiamo fatto più di 8 mila test, meno di 500 in Francia», osserva il virologo Francesco Broccolo, dell’Università Bicocca di Milano. Nel Regno Unito i tamponi realizzati sono 6795, di cui 13 risultati positivi. E ancora non si registrano vittime. «Ma non è certo merito dei controlli», afferma Achille, 35enne che lavora nel settore finanziario della City. La sua storia fotografa la situazione. Qualche giorno fa si è presentato in un ambulatorio privato con tosse e problemi respiratori. Era rientrato dall’Italia a fine gennaio, quando l’emergenza Coronavirus non era ancora scoppiata. «Dopo avermi misurato la febbre, che non avevo, la dottoressa mi ha domandato se ero stato di recente in Asia. Al mio “no”, mi ha detto che potevo andare».
Un italiano a Londra, la spiacevole verità
E’ poi stato lui a specificare che era italiano e che la moglie era rientrata da qualche giorno da una delle zone di contagio. La risposta è stata sconcertante: «Mi spiace, ma non abbiamo il tampone per fare il test per il Coronavirus». E l’ha invitato a chiamare il 111, il numero per le emergenze. Poi la dottoressa si è lasciata andare a una confidenza: «Spero di sbagliarmi, ma credo che le autorità sanitarie stiano sottovalutando questa situazione». La storia di Achille assume contorni inquietanti per i dettagli dichiarati: la famiglia della moglie, infatti, frequenta spesso Vo’, uno dei focolai dell’epidemia in Veneto. Nel suo ufficio, poi, lavora un giovane sudcoreano. È andato dal dottore perché aveva la febbre e ha ricevuto la stessa risposta: «Se non sei entrato in contatto diretto con persone contagiate, non possiamo farci nulla. Noi non abbiamo il tampone».
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