Alcuni ricercatori del Southwestern Medical Center dell’Università del Texas hanno scoperto in uno studio delle cellule tempo all’interno del cervello umano.
I ricercatori del Southwestern Medical Center dell’Università del Texas nell’ambito di uno studio sul cervello umano hanno rintracciato le “cellule del tempo“, ossia cellule che ci permetterebbero di ricordare la sequenza ed i tempi di determinati eventi. Queste, inoltre, potrebbero rappresentare degli obiettivi per il trattamento della perdita della memoria, provocata dal Morbo di Alzheimer.
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“Ricorderai che hai visto Jennifer Aniston ieri e non poche settimane fa perché ci sarà una cellula che si è accesa ieri e che non ha funzionato in nessun altro giorno“. Così ha commentato al New Scientist Daniel Bush dell’University College di Londra lo studio effettuato dai ricercatori del Southwestern Medical Center dell’Università del Texas che hanno rintracciato per la prima volta nel cervello umano delle “cellule del tempo“. Come riporta la redazione dell’Agi, queste cellule aiuterebbero a ricordare la sequenza e i tempi degli eventi. Inoltre queste cellule, trovandosi nell’ippocampo, la parte più colpita dal Morbo di Alzheimer, potrebbero essere degli obiettivi per il trattamento della perdita della memoria provocata dalla patologia.I risultati dello studio sono stati pubblicati all’interno della rivista specializzata BioRxiv.
Nel dettaglio, i ricercatori hanno rintracciato le cellule in questione inizialmente nei topi, ma non erano ancora state identificate nel cervello umano. I ricercatori le hanno scoperte, come riporta Agi, nel cervello di 27 soggetti sottoposti a delle procedure per la rimozione di parte del cervello nel trattamento dell’epilessia.
I ricercatori avrebbero inserito nel cervello dei pazienti degli elettrodi che hanno consentito la misurazione dell’attività elettrica dei singoli neuroni mentre i soggetti svolgevano un test di memoria. Quest’ultimo consisteva nella visione di 12-15 parole, come riporta Agi, su uno schermo che poi dovevano essere ricordate dai pazienti. Durante la fase di memorizzazione nei pazienti, secondo l’analisi dei ricercatori, più cellule tempo si attivavano più si alzava la probabilità di ricordare le parole visualizzate sullo schermo. Inoltre, come riporta l’Agi, se l’attività delle cellule era maggiore, si alzava anche la probabilità che i soggetti che hanno partecipato allo studio ricordassero le parole nell’ordine visualizzato.
Secondo quanto affermato da Steven Poulter della Durham University al New Scientist questi segnali “dove-quando” potrebbero costituire l’impalcatura dei “nostri ricordi episodici“.
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