Il presidente degli industriali parla ad ampio raggio delle conseguenze del croronavirus sull’economia: è come una guerra
Intervista del presidente degli industriali Vincenzo Boccia ai microfoni di Huffpost. Boccia parla di interventi più massicci necessari per l’economia che, a causa di questa epidemia, rischia le conseguenze di un conflitto.
Presidente Vincenzo Boccia, nell’incontro di ieri con il Governo, avete parlato di misure che trasformano l’Italia in una grande zona gialla. Quale è il suo giudizio?
Al tavolo c’è stata grande convergenza con tutte le associazioni di categoria sui punti discussi. Li riassumiamo: governare l’emergenza sanitaria, evitare e non subire l’emergenza economica che sta contagiando il paese più velocemente della questione sanitaria; evitare che, non affrontando subito – e ripetiamo subito – la questione economica, si possa trasformare anche in emergenza sociale. Prima prendiamo consapevolezza, meglio è.
Ha avuto la sensazione che c’è questa consapevolezza?
Cominciano ad averla. In tal senso il confronto con tutte le parti ha aiutato.
Torniamo alle misure varate. Scuole chiuse, partite senza pubblico, cinema, musei, teatri sbarrati. Qual è l’impatto economico immediato e nel medio periodo di questa serrata nazionale?
È un impatto molto forte. Innanzitutto queste scelte andrebbero spiegate meglio dal punto di vista comunicativo. Qual è il punto: il punto è contenere il contagio ed evitare il collasso del sistema sanitario. La gente invece ieri, nel confronto comunicazionale, ha ricevuto un messaggio di allarme. È bene spiegarla, per evitare che l’allarme sia più grosso di quello che immaginiamo. Uno vede le scuole chiuse e pensa a che cosa possa esserci dietro.
Analizziamo l’impatto sulla crescita.
L’impatto è sulla percezione che il mondo ha di noi e dei cittadini italiani ed europei. Facciamo un esempio: io cittadino vedo che il mio Comune potrebbe essere in zona rossa, potrebbero chiudermi l’azienda per 15 giorni e vado in Cassa integrazione, l’effetto è che io sposto le mie intenzioni di acquisto. Potremmo fare mille esempi sulle disdette del turismo e l’emergenza del settore.
Sembra che il Governo si stia muovendo su una sorta di politica dei due tempi: prima la salute, poi l’economia. Dove è sbagliato questo ragionamento?
Le due cose vanno viste insieme, altrimenti sei un dogmatico, non un realista. Le racconto un episodio. Una volta, era da poco morto Karol Wojtyla, partecipai a un convegno con Joaquin Navarro Valls. A una domanda, appunto sul Papa, ripose: “Sapeva distinguere le cose importanti dalle cose urgenti”. Bene, oggi la politica dove distinguere le cose importanti da quelle urgenti.
Quali sono quelle importanti e quelle urgenti?
Le importanti e urgenti sono quelle che abbiamo spiegato ieri al presidente del Consiglio. Occorre, subito, un intervento compensativo per fronteggiare l’arretramento della domanda privata. Ricordiamo un numero. Noi esportiamo 550 miliardi all’anno. Di questi, 450 vengono dalla manifattura, che non può lavorare solo con lo smart working. Ora se noi rimandiamo le fiere e gli ordini arrivano tra qualche mese, se gli altri paesi bloccano i voli e i clienti pospongono le visite negli stabilimenti, se questa questione diventa anche francese, spagnola, tedesca, tutto questo comporterà un drammatico rallentamento dell’export del paese. Altro che manovra: in termini economici è come aver subito gli effetti di un conflitto.
Cioè lei vede un momento straordinario come quello in cui si trovò l’Italia nell’immediato dopoguerra?
Esattamente. Allora abbiamo avuto la capacità di risollevarci dalle macerie. E oggi, come allora, occorre un piano “straordinario”, un piano “shock” che compensi il crollo della domanda privata. Su questo va aperto un grande confronto con l’Europa, altro che decimali.
Insomma, per una situazione eccezionale, risposte eccezionali.
Elementare direi. Va guardata in faccia la realtà.
Adesso parliamo delle sue proposte. Prima però, mi faccia dire. Ho la sensazione che, in questo suo allarme, ci sia una critica alla lentezza e al balbettio di fondo del Governo, che ancora traccheggia sul decreto.
È chiaro che nella prima fase si sono concentrati sulla questione sanitaria. Adesso, in termini economici, la zona rossa è diventata l’Italia. Basta incertezze, occorre immediatezza nelle decisioni. Approfitto di questa conversazione per dire: non usiamo la questione europea come alibi per rallentare. Decidiamo. Subito. Noi siamo stati concreti, e responsabili, e nessuno di noi ne ha fatto una questione categoriale, adesso spetta al Governo dimostrare altrettanta concretezza. Abbiamo fornito tutti gli elementi per un grande piano di convergenza nazionale tra Governo, forze politiche, parti sociali, amministrazioni. Non è una trattativa con le singole categorie, è la base, concreta e responsabile, per affrontare la crisi.
I famosi 3,6 / 4 miliardi sono acqua fresca?
Lo sa e lo ha detto anche il ministro Gualtieri. Ma anche se saranno 5, 6, 7 non basteranno, sono solo un inizio che va all’interno di un quadro più complessivo. Occorre attivare la domanda pubblica, questo è il primo punto delle nostre proposte: si usino tutte le risorse disponibili nel paese per attivare le infrastrutture, secondo il modello del Ponte Morandi, anche con le correzioni indicate dalla nostra associazione dei costruttori, e secondo quello che dicemmo sin dal febbraio 2018: la politica dei fini. Significa: ti do il commissario, do più poteri al sindaco ma in X mesi devi fare l’opera piccola, media o grande, attivare cantieri e scaricare a terra una potenza di fuoco mai vista. Per la prima volta, il paese dei rinvii e delle lungaggini deve avere consapevolezza dei tempi.
Si deve sforare e quanto?
L’idea di uno sforamento ci può stare. Di fronte all’emergenza ci stanno anche piani straordinari, qui non stiamo parlando di reddito di cittadinanza e quota 100. Occorre un salto di qualità. Il primo punto sono le infrastrutture, ed è chiaro che ci vuole più flessibilità, noi diciamo 3.000 miliardi a livello europeo da finanziare attraverso eurobond a 30 anni nel solco del Green New Deal e da investire in tempi brevi. Il secondo punto è il credito. È chiaro quello che succederà.
Parecchie imprese rischiano di chiudere, basti pensare al turismo.
Ecco, succederà alle imprese della zona rossa come a quelle del settore turistico, che stanno già avendo un crollo delle prenotazioni. Se non li aiutiamo tra sei mesi non riaprono, falliscono, così come tutte le aziende che avranno cali di fatturato. Questa fase di transizione è cruciale, perché si può evitare che il “dopo” sia una catastrofe. È chiaro che, subito, vanno messi in campo elementi innovativi di credito.
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