L’Italia in piena emergenza da coronavirus si confronta con lo smark working, il lavoro a distanza, una modalità innovativa, flessibile e che dona autonomia
Al tempo del coronavirus cambiano anche le modalità di lavoro. Gli uffici si chiudono e le case si riempiono. Questo non significa che il lavoro si ferma. Ci pensa lo smart working, il più conosciuto telelavoro o lavoro da remoto. Quella modalità innovativa che non presuppone la presenza fisica in ufficio ma che permette di lavorare autonomamente da casa.
Tutto questo è possibile oggi, ma in verità già da molto tempo, grazie alla tecnologia. Spesso basta avere un computer ed una buona connessione ad internet ed il gioco è fatto. A questo si unisce flessibilità e autonomia nell’organizzazione del lavoro senza che sia necessario ritrovarsi per forza, tutti allo stesso orario, in un ufficio tradizionale a timbrare il cartellino.
Di smart working nelle altre nazioni si vive da tempo ormai, con aziende che danno fiducia al proprio dipendente e che non guardano a quanto si lavora ma a come si lavora e ai risultati ottenuti. Una visione puntata al risultato e alla flessibilità piuttosto che all’ingabbiamento del lavoro in logiche rigide e standard che non appartengo più al mondo contemporaneo.
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In Italia in queste settimane di piena emergenza da coronavirus si sta parlando molto di smart working e tantissime sono le aziende che lo hanno adattato. Per loro è stato però un ripiego, un correre ai ripari per attenersi alle misure restrittive emanate dal governo. Una modalità a cui ci si è dovuti adeguare “per forza”. Qualcosa di nuovo e forse anche macchinoso per alcuni versi per chi alla flessibilità non c’è proprio abituato. Uno sconvolgimento totale delle logiche di organizzazione del lavoro non facile da ingoiare.
Quello che viene da chiedersi è: ma perché l’Italia è sempre un passo indietro? Perché non riesce a recepire quelle che sono le potenzialità che la contemporaneità offre? Lo smark working, questo sconosciuto, è rivoluzionario e richiede in primis un cambiamento culturale dei vertici aziendali prima che quello tecnologico.
Le aziende devono imparare a fare i conti con i cambiamenti che anche il mondo del lavoro sta affrontando, primi tra tutti digital transformation e l’open innovation. Devono capire che è finito il tempo della chiusura in sé stessi e che bisogna aprirsi agli altri e alle novità.
Solo capendo questo capiranno che lo smark working non è solo una necessità in tempi di emergenza ma anche e soprattutto una possibilità, una carta importante sulla quale investire per cambiare, evolversi e migliorarsi.
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