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Coronavirus, il racconto infernale dell’ospedale di Boscotrecase

Coronavirus (Getty Images)

L’emergenza sanitaria italiana si manifesta maggiormente negli ospedali di prossimità, ecco il racconto infernale di un operatore in un ospedale vesuviano

L’emergenza sanitaria italiana si manifesta maggiormente negli ospedali di prossimità, dove spesso sono l’unico riferimento in vaste aree. E’ il caso dell’ospedale di Boscotrecase,   comune vesuviano, il presidio Madonna della Neve-Sant’Anna: A parlare è un operatore del pronto soccorso: “Viviamo con l’ansia di essere positivi al contagio. Costretti comunque a lavorare con le dovute precauzioni perché il personale è ridotto all’osso. E non rientriamo a casa dai nostri familiari perché temiamo di contagiarli. E’ un incubo, un maledetto incubo, qualcuno faccia qualcosa. Il 9 marzo ero in ospedale per il mio turno – racconta – in fila c’erano tante persone. Il triage era zeppo: tra questi anche due pazienti. Uno di loro era stato sottoposto al tampone. Non aveva i sintomi, e dopo il check è stato rispedito a casa con l’obbligo non uscire». Poi la doccia gelata arrivata dopo due giorni: «Ci hanno chiamato dall’ospedale Cotugno per comunicarci che il paziente era positivo e con lui anche un’altra persona, due anziani. I pazienti sono stati prelevati al proprio domicilio e trasferiti a Napoli, ma per noi è iniziato l’inferno. Quel giorno, a contatto con il paziente positivo, non ci sono stato solo io ma anche tanti altri colleghi, il personale infermieristico e non, gli addetti alle pulizie che in questi giorni stanno effettuando pulizie in continuazione – incalza- Ovviamente pure qualche utente che era in pronto soccorso per altre esigenze. Questo significa che tutti potrebbe essere stati già contagiati ma non possiamo essere sottoposti al tampone».

Il racconto infernale: la paura

Il racconto prosegue: «Quando abbiamo avuto la notizia ci siamo gelati – continua – Non ho paura per me, ma per la mia famiglia. E’ una preoccupazione che abbiamo in tanti e per evitare contagi abbiamo deciso di vivere in isolamento anche se avremmo già averlo anche potuto trasmettere. Non possiamo vivere così – spiega – A lavoro siamo ovattati tra mascherine, guanti e tute per evitare di contagiare gli altri qualora siamo portatori del virus. Vogliamo essere sottoposti a tampone. Chiediamo solo questo. Per poter lavorare più serenamente, per poter tornare a vivere con le nostre famiglie che sono l’unica ancòra di salvezza che abbiamo. Non possiamo scegliere nemmeno di stare a casa in autotutela, le ferie sono bloccate, il personale è ridotto all’osso e fino a quando non presentiamo sintomi non verremmo sottoposti al tampone». Un caso che non coinvolge solo l’infermiere del pronto soccorso ma almeno altre 15 unità: «Pensiamo di aver avuto contatti con molte più persone, l’ospedale in questi giorni è un inferno. Non ci chiamate angeli bianchi o eroi, siamo comuni mortali e anche noi, oggi, abbiamo paura”.

coronavirus ospedali (getty images)

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