E’ guerra aperta tra industriali e sindacati che riportano a scenari ormai dimenticati negli ultimi 20 anni in Italia. I sindacati minacciano lo sciopero
L’ultimo decreto del governo che ha deciso una ulteriore stretta sulle attività produttive da tenere aperte ha fatto scattare le polemiche. E’ guerra aperta tra industriali e sindacati che riportano a scenari ormai dimenticati negli ultimi 20 anni in Italia. Da un lato I sindacati, contrari ad ampliare la lista dei settori da lasciare aperti voluta invece da Confindustria. “Il governo si è impegnato a chiudere per due settimane le attività e i settori non essenziali”, si legge in un tweet della Cgil. “Aperto deve restare solo l’essenziale. Il sindacato è pronto alla mobilitazione e anche allo sciopero generale per difendere la salute”. Anche Cisl e Uil concordano. Ecco dunque che il premier Conte in serata firma il dpcm. La stretta vale però da lunedì 23 marzo al 3 aprile. Ma contiene molte deroghe volute da Confindustria. Sindacati furibondi. Ci sono due giorni – dal 23 marzo al 25 marzo – concessi alle aziende per adeguarsi alle nuove norme.
Il succo della lettera di Confindustria era chiaro e sembra aver fatto breccia. Caro governo, scegli bene cosa fermare e cosa no. Perché c’è il rischio di interrompere forniture imprescindibili alle attività essenziali. E di porre le condizioni, in molte realtà, per non riaprire più. Un grido d’allarme, insomma. Arrivato proprio quando il governo è impegnato a stendere nero su bianco l’ennesimo decreto d’urgenza di questa pandemia con la lista delle aperture essenziali. Anche Maurizio Casasco, presidente di Confapi afferma: “Molti container arriveranno domani nelle fabbriche italiane per scaricare merci e i fornitori esteri già minacciano penali, se il blocco entrasse in vigore subito. Chiediamo poi al governo di esentare dalle tasse il differenziale di fatturato delle pmi rispetto al mese precedente. E di prevedere un vantaggio fiscale per gli imprenditori che quest’anno lasceranno gli utili nel capitale sociale delle aziende”.
Attività funzionali – Si chiede una “disposizione di carattere generale che consenta la prosecuzione di attività non espressamente incluse nella lista e che siano però funzionali alla continuità di quelle ritenute essenziali”.
Chiusure impossibili e attività strategiche – Si chiede poi una norma che “consenta la prosecuzione di quelle attività che non possono essere interrotte per ragioni tecniche: ad esempio quelle riguardanti gli impianti a ciclo continuo e a rischio incidente”: il rischio è un “pregiudizio alla funzionalità degli impianti”. Chiudere ora per non riaprire più. Si chiede anche “la continuità delle attività strategiche per la produzione nazionale”: strategiche, non solo essenziali.
Autocertificazione – Si suggerisce al governo di concedere alle imprese di autocertificare “l’esigenza di prosecuzione” da parte di quelle attività che non possono essere interrotte, tramite “procedura amministrativa molto semplificata che faccia leva su un’attestazione del richiedente e su meccanismi di controllo ex post da parte delle autorità competenti”. Manutenzione e viglianza – Si chiede di “far salva” tutta la manutenzione “finalizzata a mantenere in efficienza macchinari e impianti, in modo da non pregiudicare la capacità degli stessi di poter essere riattivati alla ripresa delle attività”. E così pure la vigilanza “di attività e strutture oggetto del blocco”.
Forniture e ordini in corso – Si chiede infine di garantire i “tempi tecnici necessari dall’entrata in vigore del provvedimento a concludere le lavorazioni in corso, ricevere materiali e ordinativi già in viaggio, consegnare quanto già prodotto e destinato ai clienti”.
Codici Ateco – Il governo poi viene invitato a non limitarsi al ricorso dei codici Ateco per individuare quali attività fermare e quali no. Perché questo codice “ben si addice alle attività commerciali, non si presta invece in modo efficace alle attività industriali”.
Decreto attuativo – Ecco quindi il suggerimento a prevedere la possibilità – con successivo decreto ministeriale al dpcm “o con altra modalità snella” – di “ampliare o precisare i codici esclusi dal blocco”. Scarsa liquidità e volatilità in Borsa – Le imprese già oggi sono a corto di liquidità. “Sarà determinante sciogliere immediatamente il nodo del credito per evitare che questa situazione produca conseguenze irreversibili per le imprese e che gli imprenditori perdano la speranza nella futura prosecuzione dell’attività”, si legge in chiusura della missiva. Occorre poi “preservare l’operatività delle imprese che fanno parte delle filiere internazionali”. E anche “valutare i necessari provvedimenti per evitare impatti negativi sulle nostre società quotate in Borsa.
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