In una lettera del 1918 spedita da Italo La Torre alla sorella Adele, l’uomo sopravvissuto alla spagnola racconta di una situazione simile a quella che sta vivendo l’Italia ora a causa del Covid-19.
Una lettera che sembra scritta oggi, ma che in realtà risale al 3 novembre 1918 quella di Italo La Torre destinata alla sorella Adele. In quelle righe, risalenti a poco più di 100 anni fa, si delinea esattamente il quadro attuale. In entrambi i frangenti, infatti, l’Italia era stata messa in ginocchio da un’epidemia. Ai tempi di La Torre si trattava della Spagnola.
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La lettera del 1918 sull’orrore della Spagnola: il racconto di Italo La Torre
Italo La Torre, sopravvissuto all’influenza spagnola, scrisse il 3 novembre 1918 una lettera alla sorella Adele. Nella sua missiva, ricca di emozioni contrastanti, l’uomo ha dipinto un quadro che a distanza di 102 anni sembra essere il medesimo che attualmente stiamo vivendo a causa del Covid-19.
“Carissima Adele“. È così che inizia la lettera di Italo La Torre riportata da Il Corriere della Sera, indirizzata all’amata sorella. “Io e mammà siamo scampati per molto poco alla morte e siamo restati sofferenti“. Una sorte sicuramente migliore rispetto a quella del padre che una volta ammalatosi non riuscì a sconfiggere la malattia: “Papà era preso da tosse violenta e febbre…Dopo tre giorni si fece il funerale, tristissimo, senza accompagno, poiché non si poteva prevedere l’ora e perché mi avevano detto proibiti gli accompagni… Dopo sette giorni io malfermo – scrive Italo La Torre stando a quanto riporta Il Corriere- sulle gambe dovetti andare al Verano e avere lo strazio di cercare fra 40 o 50 feretri ammonticchiati quello da me adorato“.
Pausa. È una scena straziante che per vederla non bisogna immaginare in bianco e nero. Basta accendere la televisione e sintonizzarsi su qualsivoglia notiziario. È questo il dramma nel dramma che attualmente stanno vivendo numerose famiglie di persone decedute con il Covid-19.
Riprendiamo. Italo La Torre fu uno tra le tante milioni di persone colpite dalla Spagnola, un’influenza che tra il 1918 ed il 1920 provocò solo in Italia 400mila vittime. Il suo racconto alla sorella è dettagliato, riporta nel minimo dettaglio quanto accadutogli: “Il 9 o il 10 mi ammalai e presto mi aggravai. Papà corse dal medico e per fortuna, dati i tempi, ne trovò uno mediocre e carico di lavoro. Dopo due giorni, io cominciavo a vaneggiare, e povero papà alla mamma disse che pregava perché fosse sacrificata la sua vita invece che la mia“. E prosegue: “In casa nostra nessuno, nessun amico, solo il portinaio cominciò a comprarci qualche medicina, sempre con ritardo. Intanto papà peggiorava, non parlava più ed aveva un affanno, quasi un rantolo“. Un’altra triste analogia.
Italo La Torre e lo strazio per la morte del padre
“Il medico ordinò a tutti noi iniezioni di olio canforato, e si trovò un infermiere che venisse a farle di tanto in tanto. Io ebbi la forza di scrivere – riporta Il Corriere della Sera– un biglietto ad una signora mia amica, che per fortuna disinteressatamente venne con suo pericolo di vita, e per parecchi giorni e parecchie notti è stata al mio capezzale facendo anche qualche cosa per papà“. È tangibile e forte il legame con la famiglia che in tempi come questi resta l’unica via di salvezza quantomeno spirituale.
Italo La Torre restituisce poi alla sorella un’ultima fotografia del padre: “La mattina del 13 io mi sentivo presso alla fine, avevo dei periodi di coma in cui desideravo la morte e incrociavo le mani, quando di tratto in tratto avevo un risveglio di soprassalto con un colpo al cuore e chiedevo un cucchiaio di caffeina che per un minuto mi dava il senso della vita. In un momento di crisi – scrive Italo La Torre nella lettera riportata da Il Corriere– essendovi stato un allarme per me, il mio povero adorabile papà ebbe la forza sovrumana di levarsi dal letto e venire avanti al mio, non potette dirmi una parola, né fare un gesto, ma le lacrime agli occhi erano eloquenti. Lo riaccompagnarono a letto e non si mosse più, non chiedeva ne voleva nulla“.
Dramma nel dramma nella lettera del 1918: “Quei ladri lasciarono l’infelice salma per più di 48 ore senza una cassa, con noi sempre gravi vicino”
Una scena straziante, quella di un figlio che vede morire il proprio genitore senza poter far nulla: “Il rantolo era divenuto continuo e forte ed io dalla stanza a lato lo sentivo e mi opprimeva nel mio vaneggiamento il cuore ed il cervello. Mammà stava al suo fianco a letto, ma più in sentimento gli domandò: ‘Ti senti male?’. Egli accennò solo di sì con la testa. Quel giorno il tempo fu orribile, diluviava, ed il medico non venne: ha detto dopo di essersi sentito male, ma non lo credo… Verso le 8 l’infelice ebbe un breve grido soffocato, destandosi dal letargo della notte, ed il rantolo cessò: l’avevamo perduto per sempre. Mammà venne trascinata da me, e fu molto forte, perché temeva molto per me. Io la sera avevo riacquistato la lucidità, e potetti dare le disposizioni per il funerale; ma quale disastro! Quei ladri lasciarono l’infelice salma per più di 48 ore senza una cassa, con noi sempre gravi vicino“.
Drammatico, impensabile. Non così tanto, però, a ben pensarci. Di questi giorni, le testimonianze di numerose famiglie riportano la medesima circostanza.
Il messaggio di speranza di Italo La Torre: “Abbraccio te e Nino e bacio le bambine”
La lettera però si chiude con un messaggio di speranza: “Intanto sappi che ora (proprio ora) mi hanno nominato ufficiale di sussistenza (non combattente) e ho messo la divisa. Il povero papà non ha potuto avere questa consolazione, né avere quell’altra di sentire l’attuale grande vittoria e la pace, che tanto lo avrebbero rallegrato. Mandaci tue notizie di tanto in tanto anche con cartolina; come farò io; e consoliamoci se almeno la nostra salute non sarà minacciata, avendo tutti dei doveri reciproci di mantenerci in salute. Intanto – scrive Italo in chiosa alla sua missiva – abbraccio te e Nino e bacio le bambine“.
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