Durante lo scorso anno, dopo un esposto del padre, è stata aperta una nuova inchiesta contro ignoti sull’omicidio di Desirèe Piovanelli, la ragazza di 14 anni uccisa in una cascina di Leno nel settembre 2002.
Il 28 settembre del 2002 una giovane studentessa 14enne viene assassinata in una cascina a Leno, comune in provincia di Brescia. La vittima, uccisa dopo un tentativo di stupro di gruppo non andato a buon fine, è Desirèe Piovanelli. Il delitto scuote la provincia ed il Paese intero e sulla stampa per la prima volta viene utilizzato il termine “branco”. Dopo anni di processi ed indagini per quanto accaduto nel casolare vengono condannati quattro giovani, tre di cui minorenni all’epoca dei fatti.
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Omicidio Desirée Piovanelli, la ricostruzione del caso: la scomparsa ed il ritrovamento del cadavere
Il 4 ottobre del 2002 i carabinieri giungono presso una cascina abbandonata a Leno, comune di Brescia. A condurli in quel casolare sono le dichiarazioni di Nicola, un minorenne, entrato nel mirino degli inquirenti per la scomparsa di una ragazza di 14 anni: Desirée Piovanelli. Entrati nella cascina Ermengarda, a poche centinaia di metri dall’abitazione della 14enne, i carabinieri si ritrovano davanti una scena raccapricciante, tanto che uno dei militari dell’Arma perde i sensi. Riverso in terra c’è il cadavere della ragazzina quasi completamente denudato, martoriato da numerose coltellate e quasi decapitato.
Facciamo un passo indietro. Desirée, studentessa del primo anno del liceo scientifico a Manerbio, nel pomeriggio del 28 settembre, dopo aver fatto i compiti, esce di casa. Secondo la ricostruzione processuale, la ragazza viene attirata con l’inganno in quella cascina da Nicola, vicino di casa, per vedere una cucciolata di gattini. Desirée, nonostante avesse ritenuto sempre Nicola come poco affidabile ed un “soggetto da evitare”, come appuntato da lei stessa nel suo diario, si convince e raggiunge il casolare. Qui ad attenderla oltre al vicino ci sono altri due minori, Nicola detto Nico e Mattia, nonchè un adulto, Giovanni Erra, anch’egli vicino di casa di Desirèe, la quale a volte aveva fatto da baby-sitter al figlio. Secondo quanto emerge dalle indagini e dal processo, il gruppo ha attirato la giovane nel casolare per violentarla, ma Desirée si sarebbe ribellata e viene aggredita per poi essere uccisa a coltellate e successivamente sgozzata. Intanto Erra, come emerge dal processo, si allontana per non assistere allo scempio che si stava consumando.
Omicidio Desirée Piovanelli: le indagini ed i processi contro i responsabili
Lo stesso giorno i genitori della 14enne denunciano la scomparsa alle forze dell’ordine che fanno scattare le indagini per cercare di ritrovare la ragazzina. Vengono battute numerose piste, anche quella dell’allontanamento volontario, soprattutto quando il fratello di Desirée riceve un messaggio della sorella che rassicurava la famiglia circa le proprie condizioni. I carabinieri attraverso l’SMS risalgono a Nicola e scattano gli interrogatori a tappeto. Il messaggio era partito, difatti, da una sim smarrita a Jesolo da una signora l’estate precedente in un camping della zona, dove Nicola era stato in vacanza con la famiglia. A sei giorni dalla scomparsa, Nicola crolla e conduce i carabinieri nella cascina dell’orrore, dove si era compiuto il massacro. Per Nicola, Nico, Mattia e Giovanni Erra scattano le manette. Successivamente i carabinieri rinvengono anche i vestiti della ragazza gettati in un canale ed uno scontrino che indica degli acquisti fatti nel pomeriggio dell’omicidio: un coltello da cucina ed un rotolo di scotch in plastica. Intanto le foto della studentessa dagli occhi neri e vivaci così barbaramente uccisa dal “branco”, termine usato in quell’occasione per la prima volta dalla stampa, riempiono i giornali. Tutti seguono passo dopo passo la vicenda e l’iter giudiziario di un caso che ha sconvolto il Paese intero per l’età della vittima e le brutali dinamiche dell’omicidio.
Inizialmente anche Erra confessa, poco tempo dopo ritratta, sostenendo di essere andato nella cascina, ma in un secondo momento e per recuperare della droga che aveva nascosto, affermando di aver visto il cadavere, ma di aver taciuto. Le indagini si chiudono ed i quattro imputati vengono rinviati a giudizio. Il processo contro i tre minori, accusati di omicidio premeditato, sequestro di persona, violenza sessuale e, solo per Nicola e Mattia, anche l’accusa di vilipendio di cadavere, si apre nel marzo del 2003 davanti al Tribunale dei Minori di Brescia. Il dibattimento si chiude il mese successivo, il 9 aprile, con le condanne a 20 anni di reclusione per Nicola, 16 per Nico e 10 per Mattia. La Corte d’Appello, il 20 ottobre 2003, conferma la ricostruzione del processo di primo grado, ma alleggerisce leggermente le pene di due dei tre imputati: Nicola da 20 a 18 anni, e di Nico da 18 a 15 anni e 4 mesi, confermando i 10 anni inflitti a Mattia. Il 1° luglio 2004 la Cassazione rende definitive le condanne dei tre minori pronunciate durante il processo d’appello l’anno prima.
Il processo nei confronti di Giovanni Erra, all’epoca dell’omicidio trentaseienne e padre di un bambino allora di 8 anni, si chiude il 27 giugno del 2003 con la sentenza del Gup di Brescia, Silvia Milesi, che condanna l’uomo all’ergastolo per l’omicidio della studentessa. A quest’ultima si aggiunsero 7 anni e 8 mesi inflitti per violenza sessuale di gruppo ed un mese per le minacce che Erra avrebbe rivolto a Mattia affinché tacesse su quanto era accaduto nella cascina. Il 26 maggio del 2004 la Corte d’Appello di Brescia riduce la condanna dall’ergastolo a 20 anni per Erra a cui vengono concesse le attenuanti generiche ed escluse le aggravanti. La Cassazione, però, nel 2005 annulla la sentenza e stabilisce che si tenga un nuovo processo d’appello, alla conclusione del quale nel novembre del 2005 viene inflitta ad Erra una condanna a 30 anni di carcere, poi confermata anche dalla Suprema Corte. Attualmente Erra è l’unico ad essere in carcere, detenuto nel carcere Bollate di Milano.
Lo scorso anno, su impulso del padre di Desirèe, è stata aperta una nuova inchiesta sul caso per omicidio. Il padre della giovane vittima sostiene che dietro l’omicidio della figlia possa esserci un giro di pedofilia, dubbi alimentati anche da una traccia di Dna ritrovata sugli indumenti di Desirèe a cui non è stato associato un volto.
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Nell’ambito dell’inchiesta sono stati ascoltati dagli inquirenti anche i quattro condannati.