In un’inchiesta del Corriere della Sera vengono riassunti i sei punti che potrebbero aver influito sulla diffusione del contagio dell’epidemia in Lombardia, ad oggi la più colpita in Italia.
L’epidemia da coronavirus, che sta mettendo da quasi due mesi in ginocchio l’intera Italia, ha colpito maggiormente la Lombardia. Ad oggi nella regione settentrionale si contano 61.326 casi di contagio complessivi e 11.142 decessi, rispettivamente il 37% ed il 52% del bilancio complessivo in Italia. In molti, esperti compresi, si sono interrogati in questi giorni sul perché la Lombardia abbia registrato numeri così drammatici nettamente superiori al resto della Penisola. In un articolo pubblicato stamane, Il Corriere della Sera, ha provato a riassumere le sei criticità che potrebbero aver influito sulla diffusione del contagio nel territorio lombardo.
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Coronavirus, l’inchiesta del Corriere della Sera: i sei punti che potrebbero aver influito sui numeri dell’epidemia in Lombardia
I dati della Protezione Civile e dell’Istat in merito alla diffusione del contagio sul nostro territorio parlano chiaro. Ad oggi la Lombardia è la regione più colpita dal Covid-19 che da settimane sta mettendo a dura prova il Paese intero. Sul territorio lombardo, come riferisce Il Corriere della Sera, ad oggi sono deceduti 11 residenti ogni 10mila abitanti, 5 in più dell’Emilia e ben 9 in più del Veneto. Nell’articolo sul Corriere a firma di Milena Gabanelli e Simona Ravizza, sono stati riassunti i sei punti che avrebbero potuto influire sulla crescita esponenziale dell’epidemia in Lombardia e sul numero di morti, molto più alto rispetto al resto del Paese, circostanze su cui molti ancora si interrogano.
Il primo punto dell’inchiesta sulla Lombardia
Il primo punto riguarda il sistema sanitario lombardo. Con pubblico e privato inseriti sullo stesso piano, una volta scoppiata l’emergenza, sarebbe andato immediatamente in crisi. Ciò in quanto il numero di posti letto rispetto alla popolazione è di 8,5 su 100mila abitanti ed il 30% è gestito da strutture convenzionate con l’SSN. I ricoveri di pazienti in condizioni gravi, dove nella maggior parte dei casi vi sono patologie pregresse, sono aumentati rapidamente e mentre ci si concentrava sul potenziamento del sistema ospedaliero, mancavano i dispositivi di protezione per il personale sanitario ed indicazioni chiare per i primari.
Il secondo punto
Il secondo punto analizzato dalle giornaliste del Corriere, riguarda la sorveglianza territoriale. Quest’ultima non avrebbe tracciato tempestivamente i contatti e le persone vicine ai soggetti positivi. I medici di base non sarebbero stati supportati e chi seguiva da vicino i soggetti malati molte volte ha contratto il virus. In alcuni casi ci avrebbe anche rimesso la vita. La delibera con le indicazioni precise sulla gestione territoriale dell’epidemia sarebbe arrivato, riferiscono le giornaliste, solo il 23 marzo scorso. Ciò significa ad oltre un mese dal primo caso di contagio in Italia. Sono state così costituite le Usca (Unità speciali di continuità assistenziale). “Una squadra di medici ogni 50 mila abitanti. Duecento per la Lombardia: ancora oggi quelle attive sono solo 37” riporta Il Corriere.
Il terzo punto
Il terzo punto dell’inchiesta del Corriere della Sera riguarda l’autonomia decisionale della Regione. In questo rientra la chiusura delle case di riposo arrivata probabilmente troppo tardi. La decisione di interrompere le visite ai familiari sarebbe giunta solo il 4 marzo, due settimane dopo il focolaio di Codogno. A questo si sarebbe aggiunta anche la decisione di mandare all’interno delle Rsa, dall’8 marzo, i pazienti positivi meno gravi. Ciò al fine di ridurre la pressione negli ospedali. Nonché, riferiscono le giornaliste de Il Corriere, un inadeguato sostegno in merito ai dispositivi di sicurezza. Infine, ci sarebbe stata anche una tempistica inadeguata sulla chiusura di due centri. Il riferimento va ai comuni di Nembro e Alzano nella Bergamasca, dove la decisione sarebbe giunta solo dopo che il Governo aveva imposto il lockdown per l’intera Penisola.
Il quarto punto
A questi punti si aggiunge quello riguardante i tamponi sulla popolazione. Secondo l’articolo pubblicato sul Corriere della Sera, la Regione non si sarebbe neanche imposta sui test ai pazienti ed avrebbe deciso di eseguirli solo ai soggetti plurisintomatici, come disposto dal Ministero della Salute. Le autorità lombarde, come riferisce Il Corriere, avrebbero puntato tutto sulla costruzione dell’ospedale Covid nell’ex fiera di Milano, che ad oggi ospita solo 10 malati sui 600 posti disponibili.
Il quinto punto
Nel mirino dell’inchiesta finisce anche la consueta conferenza quotidiana della Regione, in cui vengono resi noti i bollettini dei dati relativi all’epidemia in Lombardia. Secondo l’articolo delle due giornaliste, il resoconto quotidiano, i cui dati andrebbero presi con le pinze, sembrerebbe l’unica preoccupazione delle autorità, mentre medici di base e ospedalieri hanno avuto il coraggio di sperimentare cure che hanno consentito a diversi soggetti risultati positivi al virus di guarire.
Il sesto punto
Infine l’ultimo punto riguarderebbe la cosiddetta “Fase 2” dell’emergenza. Quest’ultima si spera possa essere avviata già dopo il prossimo 3 maggio, termine fissato per la fine delle misure restrittive. Questa data però potrebbe non essere la stessa per la Lombardia, dato che i ricoveri in terapia intensiva continuano a scendere più lentamente rispetto al resto dell’Italia. Autorità ed esperti riferiscono le note firme del Corriere, dovranno, dunque, concentrarsi.
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Dovranno capire come far ripartire le attività per far tornare pian piano alla normalità la Regione più ricca d’Europa e piena di eccellenze. Il discorso vele soprattutto per Milano, cuore pulsante della Lombardia.