La ricostruzione dell’omicidio di Samuele Lorenzi, il bambino di soli 3 anni ucciso all’interno di una villetta di Cogne, in Val d’Aosta nel gennaio del 2002: la stampa lo ribattezzò “delitto di Cogne”.
In una villetta di Cogne, in Val d’Aosta, il 30 gennaio 2002 si scrive una delle pagine di cronaca nera più cruente del nostro Paese. Samuele Lorenzi, un bambino di soli 3 anni, viene brutalmente assassinato. Il caso, ribattezzato dalla stampa come “Il delitto di Cogne”, ha un grande impatto mediatico. Per anni terrà banco sui giornali, nei tg e nei programmi di approfondimento. Per il delitto viene condannata a 16 anni di reclusione la madre della vittima, Annamaria Franzoni, che dal 2018 è tornata in libertà grazie a 3 anni di indulto ed allo sconto di pena determinato dalla buona condotta.
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Il 30 gennaio del 2002 la quiete che regna nelle case degli italiani viene interrotta da una macabra notizia. I telegiornali nazionali rendono noto un fatto di cronaca che, di lì a breve, sarebbe divenuto uno dei casi più discussi per anni. In un paesino di poco più di mille anime ai piedi del massiccio del Gran Paradiso in Val d’Aosta un bambino di soli 3 anni è stato ucciso all’interno della casa dove abitava con i genitori. Teatro dell’omicidio è, infatti, una villetta di Montroz, frazione di Cogne, appartenente alla famiglia Lorenzi. Sono le 8:30 quando da quella villetta partono due chiamate: la prima al medico di famiglia, mentre la seconda al 118. A chiamare è Annamaria Franzoni che all’operatore del centralino chiede soccorso affermando di aver trovato il figlio Samuele con la testa aperta che vomitava sangue.
Sul posto si precipita la dottoressa Ada Satragni, che cerca di rianimare Samuele fasciandogli la testa e portandolo fuori di casa. Poco dopo intervengono i soccorsi con un’eliambulanza, in ritardo considerata l’ubicazione della villetta. Il piccolo, trasportato in condizioni gravissime in ospedale, purtroppo alle 9:55 muore sulla lettiga del Pronto Soccorso, mentre stava per essere portato in sala operatoria.
La dottoressa Satragni sostiene che possa essersi trattato di un aneurisma, ma questa tesi viene smentita 48 ore più tardi dall’autopsia. Secondo i risultati dell’esame autoptico, il piccolo Samuele non è deceduto per cause naturali: ad ucciderlo sarebbero stati 17 colpi inferti alla testa, di cui i primi due letali, che hanno provocato l’apertura del cranio tanto da far uscire il cervello. Emergono sul corpo della vittima delle tracce di rame, probabilmente appartenenti all’arma del delitto, mai più ritrovata che si ipotizzò essere un mestolo ornamentale o un bollitore di latte.
I carabinieri fanno partire immediatamente le indagini per capire cosa sia accaduto. I militari dell’arma si trovano davanti il primo scoglio: una scena del delitto irrimediabilmente compromessa. Ciò a causa dei numerosi accessi sui luoghi ed anche a seguito dei tentativi di soccorso che hanno visto numerose persone entrare ed uscire dalla viletta.
Per le indagini vengono subiti chiamati i Ris dei Carabinieri, guidati dal colonnello Luciano Garofano. Gli inquirenti procedono al sequestro di vari reperti ed i sospetti si concentrano su Annamaria Franzioni. La donna racconta agli inquirenti di essere uscita di casa per accompagnare il figlio maggiore alla fermata dello scuolabus ed una volta rientrata in casa di aver ritrovato Samuele in quelle condizioni. Tutta Italia segue costantemente gli aggiornamenti sul caso finito su vari programmi di approfondimento. Tra questi Porta a Porta che propone proprio un plastico della villetta teatro dell’omicidio. La vera svolta arriva 40 giorni dopo il delitto: Annamaria Franzoni viene iscritta nel registro degli indagati per l’omicidio del figlio e due giorni più tardi, il 14 marzo 2002, viene arrestata con l’accusa di omicidio volontario aggravato dal vincolo di parentela.
A pesare contro la donna, l’unica presente in casa in quel momento, dato che il marito Stefano era uscito poco prima per recarsi a lavoro, sono diversi elementi: la quantità di materiale cerebrale e sangue del figlio rinvenuta sui vestiti ed alcune intercettazioni. Un carabiniere, inoltre, afferma di aver sentito la Franzoni chiedere al marito, mentre i soccorritori stavano tentando di rianimare Samuele, di volere un altro bambino. A questo si aggiunge che la Franzoni aveva chiesto al marito, poche ore prima del delitto, di chiamare la guardia medica per un malore che poi si rivelò essere un attacco di panico. Infine dai rilievi non emerse nessuna traccia di introduzione nella villetta, deducibile da segni di scasso o tracce di dna. Dopo circa 15 giorni di detenzione, però, il Tribunale del Riesame di Torino accoglie la richiesta di scarcerazione e la donna può tornare in libertà alla vigilia di Pasqua.
Le indagini proseguono mentre la bolla mediatica su quello che viene ribattezzato come “Il delitto di Cogne” si espande. L’Italia si divide tra colpevolisti ed innocentisti, come accade nella maggior parte di questi casi, spaccatura che si amplifica dopo le dichiarazioni della stessa Franzoni ospite al Maurizio Costanzo Show il 16 luglio dello stesso anno che ammise di essere incinta.
Pochi mesi più tardi inizia il processo nei confronti della Franzoni, che aveva optato per il rito abbreviato difesa dall’avvocato Carlo Taormina. Il dibattimento si chiude il 19 luglio 2004 con la condanna da parte del Gup di Aosta a 30 anni di reclusione. Lo stesso mese, la Franzoni ed il marito Stefano accusarono il vicino di casa Ulisse Guichardaz di essere l’assassino di Samuele denunciandolo. Le accuse, dopo vari interrogatori ed indagini si rivelarono infondate, ed i genitori del bambino vennero indagati per calunnia. Intanto si apre un nuovo processo, parallelamente a quello d’appello: il Cogne bis. Alla sbarra ci sono 11 imputati, tra cui i due coniugi Lorenzi e l’avvocato Taormina per calunnia e frode processuale dopo la produzione di nuove prove mediante altri consulenti. Il 27 aprile del 2007 la Corte d’Assise d’appello di Torino alleggerisce la pena alla Franzoni riducendola da 30 a 16 anni di reclusione concedendo all’imputata le attenuanti generiche. Il processo si svolge a porte aperte come un vero e proprio evento mediatico con tanto di giornalisti in aula e curiosi fuori dal Tribunale.
La sentenza viene confermata il 21 maggio 2008 dalla Cassazione divenendo definitiva. La stessa sera, i carabinieri raggiungono l’abitazione della Franzoni che, si era trasferita in Emilia, e viene accompagnata in carcere. La Franzoni fu condannata nel 2011 dal Tribunale di Torino ad un anno e quattro mesi di reclusione per calunnia e frode processuale, ma il reato venne dichiarato prescritto in Appello nel 2014. Nello stesso anno, in seguito ad una nuova perizia, la donna venne scarcerata il 26 giugno e gli furono concessi gli arresti domiciliari.
La Franzoni finisce nuovamente in Tribunale per il mancato pagamento delle parcelle all’avvocato Taormina, che aveva rinunciato al mandato nel 2007. Nel 2017 il Tribunale Civile di Bologna condanna la donna al pagamento degli onorari quantificati in 275mila euro, che sommati di Iva, interessi e cassa previdenza avvocati supererebbero i 400mila euro.
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A settembre del 2018, la Franzoni torna libera finendo di scontare la propria pena, che per via dell’indulto ed alla libertà anticipata maturata grazie alla buona condotta, si era ridotta da 16 anni a meno di 11.
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