Il percorso professionale di Rubina Rovini si è delineato lungo strade diverse fino ad approdare a quello della gastronomia, tra l’accademia, il programma televisivo che l’ha presentata al grande pubblico, dimostrando una grande tradizione culinaria e la voglia di rinnovamento.
Di definisce un’inguaribile gourmand Rubina Rovini, la chef professionista che ha conosciuto il grande pubblico grazie alla sua partecipazione al MasterClass della quinta edizione di MasteChef Italia. Fin da subito ha mostrato il suo carattere e la voglia di mettersi in gioco. Queste le caratteristiche che hanno conquistato la stima del pubblico e per le quali molti l’hanno definita la vincitrice morale del programma.
Con una grande tradizione gastronomica alle spalle nella quale si incontrano i gusti della Puglia e le peculiarità della Toscana, Rubina ha sempre amato lo stare a tavola come momento di convivialità. E tra le rigide regole della danza classica prima, gli incastri del mondo finanziario dopo, non ha mai abbandonato il sogno della cucina che oggi finalmente è diventato realtà.
Con Rubina abbiamo parlato della sua professione e del suo amore per la comunicazione attraverso il cibo, di come è cambiata la sua vita dopo MasterChef e di quello che sta preparando per il futuro.
Rubina, ha scelto di lasciare il settore finanziario per la gastronomia. Ma cosa significa per lei comunicare attraverso il cibo?
Il cibo è uno degli strumenti più diretti e primordiali per dare amore, oltre ad essere un canale di comunicazione le cui strade sono infinite. Basta pensare alle infinite variazioni di ogni piatto della tradizione, ogni casa ha la sua ricetta che custodisce gelosamente. Riuscire a farsi aprire le porte ai segreti della tradizione di una famiglia è come entrarne a far parte, dovremmo tutti esserne consapevoli.
Come si delinea la sua cucina? Quali gli elementi che nelle sue creazioni non possono mai mancare?
La mia è una cucina che richiama fortemente i piatti della tradizione, rinnovati, spesso alleggeriti per esigenze del vivere quotidiano, e contaminati dalle tantissime esperienze e viaggi lontani. Gli elementi che non mancano mai nella mia cucina sono quelli più semplici, dal pane al riso, dal pesce anche molto povero ai tagli meno pregiati di carne. Perché mi ricordano l’infanzia.
Nella sua esperienza di vita anche la danza. C’è qualche valore di questa professione che non ha abbandonato e che ritrova oggi nella cucina?
Più di uno direi. Sono due forme d’arte innanzi tutto, entrambe comunicano attraverso canali di comunicazione non verbali. La disciplina classica inoltre mi ha forgiata fin dall’infanzia, in modo duro ma che si è rivelato molto utile per un percorso di crescita personale e professionale. Dedizione, disciplina, ordine e amore sono le prime caratteristiche che condivido con le due forme d’arte, ma ce ne sono anche altre più sottili.
Lei definisce la sua cucina smart. Cosa vuole intendere? E quali sono le linee alle quali fin dall’inizio di questo percorso gourmet ha seguito?
La mia cucina fin dall’inizio ha seguito la tradizione, pensando però ad essa in modo più consapevole, sensibile e tecnico di come solitamente veniva concepita dalle nostre nonne. Sin da piccola sono stata incuriosita dalla cucina e la danza e le tante privazioni che mi imponeva dal punto di vista alimentare, mi hanno fatto conoscere prima le proprietà nutrizionali e organolettiche di un prodotto. Dopo mi sono appassionata ed ho appreso le tecniche, unendo la forte tradizione alla grande sensibilità di ciò che le il palato e il cuore delle persone oggi apprezza.
La grande svolta è arrivata con Masterchef. Perché ha deciso di partecipare al programma?
In realtà è stato un po’ un caso. Avevo lasciato la banca un anno prima, e stavo studiando all’Accademia di Alta cucina, Cordon Bleu. Durante il percorso di studi le mie amiche mi segnalarono l’apertura dei casting, che pur essendo una fan del programma non avevo mai provato. Mi dissi che, visto il grande cambiamento che ormai avevo avviato, anche un casting avrebbe potuto essere un’esperienza, nel bene e nel male. Partimmo da 22.000 candidati nella mia edizione, ed eccomi qua.
Cosa ha rappresentato per lei questa esperienza? E come la sua vita professionale è cambiata da allora?
Indubbiamente ringrazierò sempre papà Masterchef per avermi dato la visibilità che tutti voi conoscete, è stata un’esperienza bellissima emotivamente e molto forte dal punto di vista formativo. Da allora la mia vita professionale è cambiata in termini pubblici, oltre ad avere una professione nelle mani abbiamo anche un’immagine da curare, perché anch’essa ci rappresenta.
Quali consigli darebbe ad un giovane che vorrebbe intraprendere il percorso di chef professionista?
E’ una domanda che mi fanno in tanti, alla quale sinceramente non riesco a dare consigli facili. Ormai fare un percorso da Chef professionista non significa acquisire tecniche di cucina e saperle applicare. Ormai uno Chef deve avere nozioni in termini di comunicazione, imprenditorialità (non dimentichiamo che gestire una cucina ha dei costi, che vanno calcolati al centesimo), gestione del personale e molto altro. Se sappiamo cucinare abbiamo fatto un primo passo, ma manca ancora molto.
Cosa l’ha spinta a lasciare la sua Toscana per andare a vivere in Lombardia? Cosa le manca della sua regione?
Lavoro molto in tutta Italia, ma la Lombardia è un po’ la base di tutte le attività commerciali e aziende, anche che producono in altre regioni. Dopo anni in cui ho lasciato crescere mio figlio con la tata per settimane intere fuori casa, ho deciso di trasferirmi in Lombardia, per tornare a casa più spesso e concedermi anche ore in più con mio figlio.
Prima dell’emergenza sanitaria a cosa si stava dedicando a livello professionale?
A tanti progetti. Mi occupo di sviluppo di progetti retail nel mondo food, oltre che docenze, eventi molto altro. Al momento tutto è fermo anche perché il mio è un mestiere di pura aggregazione, ma stiamo già studiando i cambiamenti che apporteremo ai futuri progetti.
Progetti per il futuro?
Non mi do mai progetti per il futuro, mi annoia fortemente pensare di avere in mente già cosa fare fra un anno o due. Sarebbe come crearsi dei paraocchi e perdersi le opportunità che sono fuori da ciò che avevo già programmato. L’unica cosa che posso dare per certo è che mi iscriverò all’università per una magistrale, ma è un progetto che avevo ben chiaro già in età giusta, a 20 anni. Non lo portai avanti all’epoca perché le mie idee non erano quelle che la mia famiglia aveva già scritto per me.
Francesca Bloise
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