Mattia, il paziente 1 risultato positivo al coronavirus lo scorso 20 febbraio a Codogno, ha parlato di quanto vissuto in un’intervista rilasciata a Repubblica.
Lo scorso 25 marzo, dopo oltre un mese in ospedale, il paziente 1, Mattia Maestri, primo caso accertato di coronavirus in Italia, è tornato a casa per riabbracciare la moglie ed in tempo per veder nascere la figlia. Il 38enne ricercatore dell’Uniliver di Castelpusterlengo ha rilasciato un’intervista alla redazione del quotidiano Repubblica raccontando delle settimane vissute in ospedale, due delle quali in coma.
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Un incubo durato oltre un mese, quello vissuto da Mattia Maestri, il paziente 1 di Codogno, il primo ad essere risultato positivo al tampone per il Covid-19 in Italia. Il ricercatore 38enne è rimasto in ospedale per diverse settimane, prima di essere dimesso lo scorso 25 marzo quando è rientrato a casa dalla moglie incinta che l’8 aprile ha dato alla luce la figlia. A raccontare l’incubo è stato lo stesso Mattia, intervistato da Repubblica: “Sono stati due mesi sconvolgenti altro che un film. Improvvisamente mi sono ammalato, sono arrivato ad un passo dalla morte e sono risorto“. Al tampone sono risultati positivi anche la moglie, la mamma ed il padre del 38enne, ma quest’ultimo purtroppo non ce l’ha fatta ed è deceduto mentre il giovane ricercatore era ricoverato in ospedale.
Il 38enne ha raccontato di aver perso conoscenza a Codogno quello stesso 20 febbraio, il giorno del risultato del tampone, e di essersi svegliato 20 giorni dopo all’ospedale di Pavia, dove era stato trasferito e dove ha trascorso la maggior parte del ricovero. Parlando delle due settimane in coma, Mattia spiega di essersi trovato in una sorta di limbo, completamente incosciente: “Non soffrivo, però avevo la netta percezione che quella pace fosse l’anticamera della morte“. A dargli l’energia, anche fisica, per andare avanti, racconta il paziente 1 ai microfoni di Repubblica è stata l’imminente nascita della figlia Giulia: “Non potevo andare via mentre lei stava arrivando“.
Infine, il ricercatore oggi nella sua casa di Codogno ha parlato del paziente zero che rimane un mistero, dato che da mesi Mattia non si recava all’estero. Il ricercatore ha spiegato di aver trascorso questo periodo tra amici e lavoro tra Castelpusterlengo e Codogno.
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“Il 20 febbraio il coronavirus -conclude Mattia ai microfoni di Repubblica- in Europa non aveva colpito ufficialmente nessuno. Io, giovane e sportivo, ero però in fin di vita e quella anomalia ha permesso ai medici di scovarlo, c’è stato il tempo di curare molti pazienti e di capire perché in tanti stavano già soffrendo“.
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