Sono trascorsi 34 anni da quando si verificò la catastrofe della centrale nucleare di Chernobyl: ancora oggi l’ambiente paga lo scotto di quella che fu una tragedia ambientale di livello planetario.
Un evento catastrofico di proporzioni bibliche, quello che si verificò 34 anni fa in un remoto paese dell’Ucraina. Nel cuore della notte del 26 aprile del 1986, all’interno della centrale nucleare V.I. Lenin, nei pressi di Chernobyl, qualcosa non funzionò come avrebbe dovuto. Un’esplosione e poi il dramma: l’aria venne pervasa da un livello di radioattività che solo dopo gli scienziati avrebbero scoperto essere l’equivalente di 500 bombe atomiche.
Il pianeta intero, ancora oggi, e l’ambiente pagano lo scotto di quell’errore umano che costò vite umane e l’irreparabile danno alla flora ed alla fauna del posto. L’incidente nucleare di Chernobyl venne catalogato come una catastrofe.
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Disastro di Chernobyl: a 34 anni di distanza il Pianeta ancora subisce le conseguenze
Un anno che difficilmente il Pianeta dimenticherà questo 2020. A causa della pandemia da coronavirus continua ad essere stretta la morsa del lockdown e si vive ogni singola giornata sperando in una battuta d’arresto della curva dei contagi. Un dramma che molto assomiglia a quello che si è vissuto nel 1986 quando a seguito della catastrofe di Chernobyl il pianeta rimase con il fiato sospeso in attesa di conoscere quali sarebbero state le conseguenze dell’incidente.
L’esplosione all’interno della centrale V.I. Lenin, infatti, ebbe ad interessare non solo la sua zona di origine ma l’intera Europa se non oltre. La nube radioattiva originatasi dal Paese appartenente all’ex Unione Sovietica, si propagò sull’intero Vecchio continente, facendo registrare preoccupanti valori. Un incubo che si andò man mano attenuandosi, fino a quando poco tempo fa non si sono riverificati degli incendi nella zona. I roghi hanno destato nuovamente la paura del Pianeta, già alle prese con la crisi sistemica dettata dalla pandemia.
Le analogie sulla gestione dell’emergenza con la pandemia
Molto spesso, il disastro di Chernobyl è stato citato per effettuare parallelismi con la gestione cinese del Covid-19. Ed infatti, nel 1986 furono in molti a puntare il dito contro i Sovietici, accusati a causa del regime di voler insabbiare la vicenda minimizzando l’accaduto e non facendo emergere quanto realmente stesse accadendo. Un accusata rivolta oggi da molti stati, in primis gli Usa, al Paese del Dragone, tacciato di non aver saputo gestire il contagio.
Gli effetti del disastro nucleare: danni all’uomo ed all’ambiente
La catastrofe di Chernobyl ebbe riverberi non solo sull’uomo ma anche ed ovviamente sull’ambiente. Quanto al primo, i dati parlano chiaro, gli effetti furono devastanti. Non solo un’impennata di tumori, ma anche lo sfollamento di un centro che ha reso nomadi i suoi abitanti. Le decisioni che vennero prese dall’allora URSS, ossia di adottare il cosiddetto meltdown, furono tra le più criticate del XX secolo. Scelte che valsero anni di indagini e processi in cui si cercò di risalire alle effettive responsabilità del disastro.
A riguardo, neppure un anno fa, sono stati disvelati alcuni documenti ritenuti utili per far comprendere come abbia agito il partito comunista all’epoca. Un tentativo maldestro di nascondere l’accaduto non avrebbe fatto altro che aggravare una situazione già di per sé rovinosa. Uno degli aspetti più controversi e ritenuti inaccettabili furono le scelte di rimandare a casa i soggetti che risultavano ammalati. Ed inoltre, pare, quella che fu la macabra scelta di predisporre per il consumo anche derrate alimentari contaminate dalle radiazioni.
Riverberi nefasti anche quelli subiti dall’ambiente. La nube tossica fece tabula rasa di flora e fauna che solo oggi pare stia ritornando ad una pseudo-normalità. Perché in effetti, è alta la possibilità che soprattutto negli animali che prolificano in quelle zone vi siano state mutazioni genetiche che abbiano compromesso le specie.
L’area attorno alla centrale oggi viene definita, riporta La Repubblica, come “zona di alienazione“. Lì non è possibile abitare, aprire attività commerciali. Unica deroga è quella concessa alla visita dei turisti organizzati da tour operator del posto.
La zona di alienazione rifugio per la fauna selvatica
Un luogo che proprio a causa dell’assenza dell’uomo è divenuta una riserva dove molti animali hanno iniziato a prolificare ed a riprodursi. Hanno ricreato un nuovo ecosistema con possibili e probabili criticità derivate dalle radiazioni. A ciò si aggiunge che i frutti della terra di cui si nutrono nascono da un suolo contaminato, e crescono con acqua ricca di isotopi radioattivi. In molti sostengono, infatti, che a causa del disastro le scorie sono giunte anche nella falda. Un particolare che aggiunge ad un già drammatico quadro un ulteriore tassello nero.
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A 34 anni di distanza, dunque, come anche ribadito dall’Onu il Pianeta paga ancora lo scotto della negligenza umana. Conseguente nefaste sull’ambiente dai tratti irreversibili.