Viola Graziosi, attrice italiana, racconta il suo amore per l’arte, la recitazione e il dare voce ad una storia. Un’unica forma d’arte che si declina in varie forme ma che sostanzialmente non cambia mai
Un fiume in piena Viola Graziosi che ha accettato di raccontarsi in una lunga ma interessante intervista nella quale ha sviscerato a YesLife i lati più intimi del suo essere artista a tutto tondo. Figlia d’arte, ha iniziato giovanissima la carriera di attrice. Un percorso che l’ha vista lavorare tra cinema, tv e teatro ma che nonostante questo si dice pronta, oggi più che mai, a sperimentare nuove strade “come se fosse la prima volta”.
Ma oltre la recitazione nel senso in cui tutti noi la conosciamo, Viola ha sperimentato anche il solco degli audiolibri. Un mondo che l’ha avvolta completamente tanto che negli ultimi tre anni e mezzo ha dato voce a 30 libri.
Nel 2019 Audible le ha anche conferito il Certificato di Eccellenza miglior voce di audiolibri “per la sua eccezionale performance e costante dedizione”. E in queste settimane scandite dall’emergenza sanitaria gli audiolibri hanno dato una marcia in più alle arti performative facendo riscoprire al pubblico un nuovo modo di fruizione.
Viola è uscito da poco il nuovo audiolibro da lei letto “All’ombra di Julius” di Elizabeth Jane Howard, edito da “Emons: libri&audiolibri”. Cosa può anticiparci di questo nuovo lavoro?
È un libro che ho amato molto. Ho dato voce a tre figure femminili, le protagoniste della vicenda, diverse tra loro e allo stesso tempo così umane, nel senso che la loro sofferenza ha qualcosa che ci riguarda, che possiamo riconoscere. La Howard è bravissima a tratteggiare i caratteri, a fornirci dettagli che ci fanno vibrare all’unisono, mettendoci all’interno di dinamiche che viste dall’esterno hanno la perfezione di una tela di ragno, o di un grande specchio.
La storia è quella di due giovani donne (di 25 e 35 anni) e della loro madre, rimaste “all’ombra di Julius”, il capofamiglia morto 10 anni prima in un incidente. Tutte e tre cercano un nuovo equilibrio, una nuova maturità, qualcosa che assomigli alla felicità, come ciascuno di noi. È una sorta di “Piccole Donne” contemporaneo, un gioiellino.
Per lei gli audiolibri sono quasi la sua seconda casa. In oltre tre anni e mezzo ha dato voce a più di 35 lavori. Come è iniziato questo suo percorso? E come si è sviluppato e arricchito nel tempo?
È iniziato con la casa editrice Emons e con Audible, la piattaforma che ha fatto fare un grandissimo salto in avanti al mercato dell’audiolibro in Italia. Per chi ancora non la conoscesse, Audible è un po’ come Netflix, che con un piccolo abbonamento mensile da accesso a migliaia di audiolibri. Una vera e propria libreria sonora che offre un’esperienza di lettura nuova. Io sono arrivata “al punto giusto al momento giusto”, infatti ho dato voce al primo audiolibro di Audible Italia: Lo splendore casuale delle meduse, di Judith Schalansky. Un romanzo poco conosciuto, delicato, con una protagonista che non si svela mai del tutto, ma proprio in quello che non viene detto e mostrato di lei, si tratteggia una donna commovente. Nel tempo ho dato voce a tanti grandi autori, come Isabel Allende che oramai ho l’impressione di conoscere, ma anche agli italiani Sandrone Dazieri, Maurizio De Giovanni, Teresa Ciabatti, e il meraviglioso romanzo “Resto qui” di Marco Balzano, che è uno dei record di ascolti sulla piattaforma. Sono incontri profondi, ai quali non ci si può sottrarre. La voce è collegata a qualcosa di intimo. Per me ciascuno di questi romanzi è un viaggio dal quale sono tornata cambiata, arricchita. Nel porgere la voce a una narrazione (che è diverso dall’interpretare un monologo) ho il privilegio di entrare in una relazione privilegiata con la scrittura che si fa voce. Non è paragonabile a nient’altro.
Cosa significa per lei farsi “voce” di una storia? E qual è la differenza tra interpretare un personaggio e dare voce ad un intero libro?
Come dicevo, dare voce a una storia è sottilmente diverso dall’interpretare un personaggio, anche se il lavoro interno è uguale, ovvero mettere in azione la “macchina sensibile” dell’attore. Narrare, in un certo senso, significa essere per l’orecchio quello che la carta stampata è per l’occhio, il supporto, il canale, “il traghettatore”. Ma questo traghettare parole attraverso la voce, i suoni, i ritmi e i silenzi ha bisogno di un flusso vitale in cui inserirsi, altrimenti non arriva nulla. La voce deve portare con sé una verità che si stacca dalla carta, che non può essere orizzontale, che si fa scrittura in volume, che si fa carne e sangue e fiato. Le parole sono potenti, creano mondi. La difficoltà sta nel trovare ogni volta il giusto equilibrio di compromissione, lasciando all’autore la possibilità di esprimersi, e all’ascoltatore quella di ascoltare. Non può esserci compiacimento. È un entrare nella trama della scrittura, in tutti i sensi.
Per le sue performance appassionate nel mondo degli audiolibri è stata premiata da Audible con il Certificato di Eccellenza miglior voce di audiolibri. Un riconoscimento importante per la sua dedizione a questo mondo? Cosa ha significato per lei?
Il Certificato di Eccellenza è un riconoscimento dato dal numero di ascolti e apprezzamenti sulla piattaforma, quindi dato dagli ascoltatori, un modo per palpare “con mano” la loro presenza. Nell’atto di narrare l’interlocutore è fondamentale. Si narra per qualcuno. Mentre in teatro questo “qualcuno” è lì davanti a te, lo senti (a volte il pubblico non lo sa ma noi abbiamo l’orecchio teso a percepire ogni loro sospiro) nella lettura ad alta voce bisogna operare un atto di fiducia grande per credere a questo ascoltatore immaginario, attento e presente, silenzioso, che ci sarà, che palpiterà con te in tutte le sfumature, i passaggi, i dettagli della narrazione. Per questo il riconoscimento di Audible è stato una risposta concreta a questo incontro tra me e chi mi ascolta. È una relazione diretta in tempi diversi. Un presente continuo.
Pensa che in un momento delicato come questo, gli audiolibri possano aiutare a riscoprire un nuovo modo di fruire delle arti performative?
Si, penso che più del video che lavora per immagini, il vettore uditivo possa offrirci quella “relazione culturale” che oggi risente molto del distanziamento per via del virus. Già nella pancia di nostra madre si dice che sentiamo la sua voce, credo che l’udito sia tra i nostri sensi il più desto. Gli occhi tendono alla distrazione, all’infatuazione. Se chiudi gli occhi e ascolti, si risveglia tutto il tuo sentire.
In questo periodo molte persone mi hanno scritto per dirmi grazie. Proprio perché magari facevano fatica a leggere fra sé e sé, e il conforto di una voce amica che li prendeva per mano li ha supportati. In questo ho conferme dell’importanza del nostro lavoro che se non guarisce i corpi, porta sollievo alle anime. E non è poco.
LEGGI ANCHE –> Andrea Dianetti, l’attore e star del web racconta l’uso dei social…
La sua carriera è tempestata di lavori, anche molti importanti, che l’hanno portata a lavorare tra l’Italia e la Francia, tra teatro, cinema e televisione. Cosa rappresenta per lei la recitazione?
Io credo che sia l’arte di comunicare, che poi è alla base di tutto, della conoscenza e dell’umanità. Ci sono diversi modi di comunicare, ognuno con le sue peculiarità, ma la sostanza non cambia. Che io reciti in francese, in inglese, in italiano, che sia in un teatro piccolo o grande come il teatro Greco di Siracusa, che abbia a che fare con un linguaggio in versi o in prosa, o che sia davanti a una macchina da presa in cui saranno i miei occhi a comunicare, o davanti a un microfono in cui tutto passerà attraverso un’unica voce, la differenza è solo nel mezzo, non nel fine.
La comunicazione è fatta del 7% di quello che si dice, 38% di comunicazione para verbale e 55% linguaggio del corpo. Pazzesco, eh? Credo che la comunicazione sia spesso il problema all’origine di tante sofferenze, guerre, dolori, separazioni. Imparare ad ascoltare, ad ascoltarsi è fondamentale. A farsi ascoltare, anche. La natura comunica, ci manda dei segnali, anche il nostro corpo inteso come organismo. Se la parola può essere falsa non lo è ciò che esprimiamo attraverso tutto il nostro essere. Tutto è scritto, tutto è davanti ai nostri occhi. Ma forse per comprenderlo ogni volta un po’ di più dobbiamo costantemente re-citarlo.
Qual è il personaggio che più di tutti porta nel cuore? E perché?
Non saprei …ce ne sono tanti che porto nel cuore. Alcuni di loro sono fondanti e partecipano della mia storia, come Giulietta personaggio con il quale ho fatto il mio primo provino, all’età di 12 anni. Quando dissi ufficialmente a mio papà (l’attore Paolo Graziosi) che volevo fare l’attrice lui volle verificare il mio “talento”, anche se io sapevo già che quel mondo mi apparteneva totalmente… E poi Ofelia, il primo personaggio importante con il quale sono andata in scena a 17 anni. L’eroina shakespeariana che impazzisce per amore ha sempre significato per me una liberazione da tutto, dai condizionamenti, dalle aspettative, andando incontro alla sua strada, a sé stessa in modo totale: Ofelia rinasce nella stessa acqua in cui annega. E ancora Shakespeare per il personaggio di Isabella, una suora la cui stessa fede viene fortemente messa alla prova. Si dice che Shakespeare non arrivi mai a caso nella vita. Tra i personaggi contemporanei direi Katia, dello spettacolo “Intervista”, attraverso cui ho imparato la leggerezza e l’ironia anche spietata, del gioco. Per quella interpretazione ho vinto anche il premio Adelaide Ristori. Recentemente l’Ancella della Atwood, e Elena di Troia interpretata al Teatro Antico di Siracusa, che pur essendo l’una vittima e l’altra carnefice, hanno molti punti in comune.
Credo che i personaggi arrivino al momento giusto, quando siamo pronti. E che il nostro sviluppo personale, inteso come conoscenza, sia necessario a poter comunicare sempre più, e sempre più profondamente, qualcosa che riguarda l’umano e che quindi riguarda tutti noi, nessuno escluso.
C’è stata, invece, la chiamata di un regista che proprio non si aspettava?
Quella di Pupi Avati al quale per anni avevo lasciato foto e curriculum alla sua casa di produzione, la Dueafilm che si trova a Roma, come quelle azioni che si fanno per sognare un po’… Ebbene un giorno, qualche anno dopo, mi squilla il telefono, ed era lui! E mi ha fatto la seguente domanda: “Dall’ultimo curriculum che mi hai portato…sei diventata così famosa da non accettare una piccola parte nel mio prossimo film?” Ovviamente accettai, si trattava di “Un ragazzo d’oro” con Sharon Stone e Scamarcio. E da allora è nato un rapporto discreto e prezioso per me, e forse un po’ anche per lui.
Tra le diverse strade che ha sperimentato, se dovesse, quale sceglierebbe?
A me non sembra di aver sperimentato strade diverse. Come ho già detto è solo la forma che cambia ma la sostanza è la stessa. Anzi trovo che sia molto utile passare da una forma all’altra per tenersi in allenamento. Ogni volta si ritorna cresciuti. Ultimamente per via del Covid-19 ho sperimentato la “diretta streaming” con uno spettacolo, The Handmaid’s Tale, tratto dal Racconto dell’Ancella, con la regia di Graziano Piazza. Il teatro No’hma di Milano che doveva ospitarci a marzo ci ha proposto di andare in scena comunque da casa nostra, mia e di Graziano che fortunatamente oltre che grande attore e regista, è anche mio marito! E così abbiamo studiato per capire come potevamo rendere quella “comunicazione” attraverso il mezzo del video e lo spazio casalingo…e abbiamo risolto la cosa con un primo piano strettissimo sul mio volto (perché appunto attraverso il video comunica prima l’immagine che la parola) su sfondo nero…praticamente un piano sequenza di 1 ora e 20 col pubblico attaccato alla mia faccia, nessuna possibilità di sbagliare! Ebbene questa iper vicinanza provata in diretta streaming con un pubblico che ho dovuto immaginare, è stata un’esperienza grandissima, che mi porterò dietro ogni volta che lo rifarò in scena.
Nel mondo dello spettacolo ha fatto veramente tanto. C’è qualche altra strada che le piacerebbe sperimentare?
Ho fatto tanto è vero, ma credo che questo sia ancora solo l’inizio. Ho quarant’anni ed è una bellissima età, in cui finalmente mi sembra di essere entrata in contatto con me. Ma questo me non è qualcosa di fisso e rigido, è qualcosa che ogni giorno è diverso, vivo. E quindi desidero ancora e più che mai sperimentare e assaporare ogni strada come se fosse la prima volta. Perché così mi sento e spero di continuare a sentirmi. Una principiante che ha sempre più coraggio per giocare.
LEGGI ANCHE –> 10 domande a Rubina Rovini: la danza, Masterchef e il cibo…
Come sta vivendo questi giorni di quarantena? C’è qualcosa che sta riscoprendo e apprezzando?
Me ne sto prendendo cura. Sono nella mia casa di Roma che amo, piccolina ma con un terrazzo grande che mi da un senso di apertura, di bellezza, di cielo in cui mi riconosco. Ho accanto l’uomo che amo e con il quale ho costruito tutto ciò. E la nostra adorata cagnolina Maya, che ci ricorda che tutto è anche un po’ illusione. Ma anche vita. E questi giorni difficili, spaventosi, e questi “limiti” che ci sono imposti mi stanno facendo riscoprire tutto quello che c’è, tutto quello che si può fare. Non manca nulla. Ciò che “manca” riguarda un’aspettativa, un’abitudine, qualcosa che ci aspettiamo sia in un modo e non lo è. Le nostre pretese. I nostri bisogni, in parte sacrosanti, certo. Ma nel presente c’è sempre tutto. E come dice Amleto “potrei essere rinchiuso in un guscio di noce e sentirmi il Re di uno spazio infinito”. Ecco mi sento così, e sono grata a tutto per questo. Grata alle parole dei poeti che mi insegnano, grata alla vita, grata ai dolori, ai piaceri, alle gioie, alle fortune, agli errori…di cui non mi pento. Grata oggi di poter dire sono qui.
Qual è la prima cosa che farà appena tutto questo finirà?
Una passeggiata nella natura, a guardare la primavera in fiore, con il corpo libero di spaziare e correre e rotolarsi per terra, con Graziano e Maya!
Francesca Bloise