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Burioni | “Chi prende il virus produce anticorpi” | FOTO

Roberto Burioni divulga i risultati di uno studio cinese, i cui risultati mostrano un esito finale molto importante nella lotta al virus.

Roberto Burioni dà risalto ad uno studio cinese sugli anticorpi del virus Foto dal web

Il virologo Roberto Burioni annuncia una scoperta che ha ricevuto i crismi dell’ufficialità. Sul suo seguitissimo profilo ufficiale Twitter, il medico, accademico e divulgatore scientifico conferma quanto scoperto da ricercatori cinesi della della Chongqing Medical University.

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“Ogni paziente guarito dal Covid sviluppa degli anticorpi nel breve periodo, anche se questo avviene in quantità variabili”. Lo studio cinese è stato pubblicato sulla rivista specializzata di settore ‘Nature Medicine’. Il sunto delle osservazioni va interpretato in chiave assolutamente positiva, come spiega Burioni. “Questo significa che la diagnosi basata sui test sierologici è pienamente affidabile. E se gli anticorpi dovessero effettivamente dimostrarsi proteggenti, sarebbe una ottima cosa per l’umanità”.

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Burioni: “Anticorpi presenti entro 19 giorni dalla comparsa dei sintomi”

Più nello specifico, gli anticorpi si mostrano in un arco di tempo di massimo 19 giorni dall’inizio dei sintomi, con delle risposte in reazione al virus evidenti. Tutti e 285 i pazienti osservati dall’equipe cinese che ha condotto lo studio ha mostrato questo. Un 100% che appare come una prova schiacciante: gli anticorpi al Covid esistono e tutti loro sono risultati positivo alla immunoglobulina G (IgG) antivirale. Quest’ultimo è un tipo di anticorpo responsabile della protezione a lungo termine contro un agente microbico. E questa è anche una prova diretta di quanto affermato da Burioni. E cioè che i test sierologici si dimostreranno affidabili per la diagnosi sui pazienti sospetti. Individuare un asintomatico tramite questa via sarà più semplice. Anche il virologo Guido Silvestri, che lavora negli Stati Uniti presso la Emory University di Atlanta, conferma l’importanza della scoperta dei colleghi cinesi.

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Un soggetto colpito dalla malattia potrebbe risultare in tal modo più protetto in caso di reinfezione, “per almeno uno o due anni”.

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