L’IRCCS Ospedale San Raffaele ha effettuato uno studio che ha permesso di individuare quali sono i soggetti da proteggere nel corso della cosiddetta Fase 2: i risultati sono stati pubblicati sul sito istituzionale della struttura.
L’Ospedale San Raffaele di Milano è riuscito ad elaborare un quadro di quelli che sarebbero i pazienti maggiormente a rischio durante la Fase 2. In sostanza quelli più esposti ad essere colpiti dalla forma più aggressiva del virus. Una ricerca, i cui risultati sono stati ottenuti sul campo attraverso lo studio dei pazienti ivi ricoverati nel corso dei due mesi di emergenza sanitaria dettata dal Covid-19.
Stando a quanto si legge sul sito istituzionale, i dati raccolti suggerirebbero una necessità di proseguire nel coordinamento tra le strutture locali ed i nosocomi altamente specializzati. Unica soluzione per poter avviare una ripartenza in tutta sicurezza.
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Ospedale San Raffaele di Milano: lo studio dei soggetti più a rischio durante la Fase 2
L’Ospedale San Raffaele di Milano è uno dei nosocomi italiani che nei mesi di serrata emergenza a causa del Covid–19, ha ospitato gran numero di soggetti affetti dal virus. Si parla di circa 1000 pazienti.
In quel lasso di tempo, i medici impegnati in prima linea non solo hanno strenuamente impiegato ogni risorsa per curare i ricoverati, ma hanno anche condotto un maxi studio per cercare di comprendere chi fossero i soggetti maggiormente a rischio di essere colpiti più gravemente dal virus.
A portare avanti la ricerca un gruppo di professionisti guidati dal professor Alberto Zangrillo, ossia direttore delle Unità di Anestesia e Rianimazione Generale e Cardio-Toraco-Vascolare, e dal professor Fabio Ciceri, primario dell’unità di Ematologia e Trapianto di Midollo.
Quanto emerso è stato reso noto dalla stessa struttura attraverso il proprio sito istituzionale in data 28 aprile. La prima informazione che colpisce è l’inciso “di fronte al nuovo coronavirus non siamo tutti uguali”. Una frase che fa da preludio all’elenco di quelli che sono i fattori che maggiormente espongono ad un rischio di letalità del Covid-19: età avanzata, tumore maligno, ipertensione arteriosa e malattia coronarica.
A ciò, si legge sul sito dell’IRCSS, si aggiungerebbe alla lista anche il basso numero di linfociti nel sangue ed i valori elevati di alcuni marcatori, che segnalerebbero la presenza di una reazione iper-infiammatoria.
Il professor Fabio Ciceri avrebbe affermato che attraverso gli indicatori poc’anzi elencati è possibile sapere in anticipo coloro i quali saranno colpiti dalla forma più aggressiva del virus. Ad essi, prosegue, sarà possibile somministrare le terapie risultate più efficaci nella cura dei soggetti più gravi.
Coordinamento tra medicina del territorio ed ospedali
Una scoperta quella dell’Ospedale San Raffaele che può dare i suoi frutti se la medicina territoriale e gli ospedali d’eccellenza collaboreranno condividendo le informazioni a disposizioni raccolte, feedback in merito alle terapie.
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Il Professor Zangrillo ha aggiunto alle parole del collega che attraverso un intervento tempestivo, anche con intervento presso il domicilio del paziente sarà possibile ridurre il tasso di mortalità del Covid-19.