Rina Fort, la donna ribattezzata la Belva di via San Gregorio: storia di una strage

Nel novembre 1946 si consumò a Milano, in un appartamento di via San Gregorio, una delle stragi più sanguinose del Paese per la quale venne arrestata e condannata Rina Fort.

Rina Fort
Rina Fort (Getty Images)

A circa un anno e mezzo dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, l’Italia si confronta con uno dei casi di cronaca nera più cruenti del Paese: la strage commessa a Milano in Via San Gregorio 40. Per quanto accaduto in quell’appartamento, dove vennero massacrati una madre ed i suoi tre figli, venne condannata all’ergastolo Rina Fort, 31enne ex amante del marito della vittima. La Fort, per la crudeltà dell’eccidio, venne soprannominata dalla stampa che seguì minuziosamente la vicenda come La Belva di Via San Gregorio.

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La strage di via San Gregorio: il ritrovamento dei quattro cadaveri

Rina Fort
Rina Fort (Getty Images)

Nel novembre del 1946, in un’Italia devastata dalla Seconda Guerra Mondiale, tra le macerie di un Paese che prova a ripartire lasciandosi alle spalle uno dei conflitti più sanguinosi della storia, si consuma una strage che sconvolge la popolazione.

È esattamente il 30 novembre, quando una commessa si reca in un appartamento di Milano in via San Gregorio 40 per prendere le chiavi del negozio di stoffe del suo datore di lavoro, Giuseppe Ricciardi. Arrivata davanti all’uscio dell’abitazione, la donna si ritrova sotto gli occhi una scena a dir poco impressionante: un massacro. Riversi a terra in una pozza di sangue ci sono 4 cadaveri, quello della moglie di Ricciardi, Franca Pappalardo (40 anni), ed i tre figli, Giovanni di 7 anni, Giuseppina di 5 ed Antonio di soli 10 mesi. Dopo l’allarme lanciato dalla commessa, sul posto si recano le forze dell’ordine che fanno scattare immediatamente le indagini per risalire al responsabile di una simile strage commessa la sera precedente.

La notizia non tarda ad arrivare ai giornalisti che, entrati in possesso delle foto, riempiono le pagine dei quotidiani descrivendo con minuzia la scena del crimine. Sul pavimento dell’ingresso della casa in via San Gregorio riversi tra il sangue e materia cerebrale ci sono, a pochi metri di distanza, Franca e Giovanni. Vengono ritrovati in cucina Giuseppina ed il piccolo Antonio, ancora seduto sul seggiolone con un pannolino in bocca. La casa è completamente a soqquadro con i muri pieni di schizzi di sangue a testimoniare la violenza di quanto accaduto poche ore prima. Mancano, inoltre dei gioielli e del denaro, il tutto per depistare le indagini ed inscenare un tentativo di rapina sfociato nel sangue. L’Italia è sconvolta: una madre di 40 anni massacrata in casa insieme ai suoi bambini.

La strage di via San Gregorio: l’arresto di Rina Fort, l’amante di Giuseppe Ricciardi

Dopo un’analisi certosina della scena, la polizia avvia le indagini che vengono affidate al commissario Mario Nardone, ribattezzato il Maigret italiano. Poche ore più tardi dal ritrovamento, i sospetti della Polizia si convogliano su una donna di 31 anni che aveva avuto una relazione sentimentale con Giuseppe Ricciardi. Quella donna è Rina Fort, che passerà alla storia come Belva di via San Gregorio, appellativo affibbiatole dalla stampa dell’epoca. Il pomeriggio stesso del 30 novembre scattano le manette per la 31enne ritenuta l’assassina che aveva agito spinta da un movente passionale.

La Fort, secondo gli inquirenti, non avrebbe accettato la decisione di Ricciardi di interrompere la loro relazione e ritornare con la famiglia. L’imprenditore di stoffe siciliano aveva conosciuto Rina nel settembre del 1945 quando l’aveva assunta come commessa del suo negozio. I due poco dopo avevano allacciato una relazione mentre la famiglia di Ricciardi era in Sicilia per via del conflitto Mondiale. Terminata la Guerra, Franca raggiunse insieme ai figli il marito a Milano che a quel punto interruppe il rapporto con la Fort.

Quello della Fort, friulana di Santa Lucia di Budoia, è una storia tribolata che inizia con un’infanzia tormentata, data la perdita del padre morto prematuramente durante un’escursione in montagna con Rina, e che prosegue con le sue pene in età adulta dettata dalla scomparsa del fidanzato con cui si sarebbe dovuta sposare. All’età di 22 anni, dopo aver scoperto di essere sterile, si sposò con un compaesano che purtroppo poco tempo più tardi venne rinchiuso in manicomio per degli squilibri mentali. Dopo aver ottenuto la separazione, la donna si trasferì a Milano dalla sorella per cercare fortuna ed è qui che conosce Ricciardi.

La polizia non ha dubbi, il colpevole è Rina Fort con un movente ben chiaro. A sostegno delle ipotesi avanzate dagli inquirenti che smontano definitivamente la tesi della rapina finita male. Il primo è la presenza di due bicchieri sporchi di rosolio ed una bottiglia sul tavolo, circostanza che condusse gli investigatori a pensare che la Pappalardo non avesse aperto la porta ad uno sconosciuto. Il secondo: una foto delle nozze della vittima strappata e gettata sul pavimento.

Gli interrogatori incalzanti della Polizia fanno cedere lentamente la Fort che, dopo aver negato, confessa tutto ad una settimana dall’eccidio. Le parole della donna, riportate anche dalla stampa, gelano gli inquirenti: la Fort aveva ammesso di aver massacrato i quattro con un ferro preso dalla cucina e di aver poi gettato su di loro dell’ammoniaca poiché ancora in vita. Inoltre la donna ammise di aver messo a soqquadro l’appartamento portando via dei gioielli per simulare una rapina. In seguito la donna cambierà versione, parlando anche di aver agito con l’aiuto di alcuni complici, parole che non troveranno mai riscontro dagli accertamenti della Polizia.

Caso Rina Fort: il processo e la condanna della Belva di via San Gregorio

L’Italia intera seguì con attenzione il caso, il primo di rilevanza di cronaca nera per il nostro Paese, attraverso i giornali che diedero un grande spazio alla vicenda, di cui si occupò anche il cronista Dino Buzzati. A quattro anni di distanza dalla strage, il 10 gennaio del 1950 si aprì il processo contro la Belva di via San Gregorio. La Fort entrò in aula indossando una sciarpa gialla, da cui i giornalisti presero spunto per un nuovo soprannome: “La belva con la sciarpa color canarino“. Il dibattimento, durante il quale la Fort venne sottoposta a perizia psichiatrica che diede risultato negativo, si chiuse nell’aprile del 1952 con una condanna all’ergastolo, pena confermata in appello e dalla Corte di Cassazione il 25 novembre 1953. Durante il processo Rina pronunciò una frase rivolgendosi ai giudici che passerà alla storia: “Potrei dire che non ho paura della sentenza. Faranno i giudici. Mi diano 5 anni o l’ergastolo, a che può servire? Ormai sono la Fort! “.

Dopo circa 30 anni di reclusione, nel 1975 la donna ottenne la grazia dal Presidente della Repubblica di allora, Giovanni Leone. Tornata in libertà venne accolta da una famiglia sino alla morte, sopraggiunta per un infarto nel marzo del 1988.

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Rina Fort
Rina Fort durante il processo nel 1950 (Getty Images)

Con la sua morte, secondo alcuni, la Fort portò con sé i tanti segreti legati a quella strage consumatasi 40 anni prima e che aveva visto massacrare una madre e tre piccoli bambini innocenti.

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