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Virus, perché l’Italia è tra i Paesi più colpiti | Lo studio

La spiegazione arriva dal New York Times  che ha riunito un team di esperti da tutto il mondo per studiare i fattori da cui dipende la diversità di diffusione del virus sul pianeta 

Coronavirus (Getty Images)

Il Covid-19 non si diffonde allo stesso modo sul pianeta. Questo è un dato che si è reso chiaro ormai da diverse settimane. Ci sono, infatti, zone di uno stesso Paese che non sono colpite affatto rispetto ad altre, invece, che sono messe letteralmente a terra. Secondo un team di studiosi chiamati a raccolta dal New York Times la diffusione del virus dipenderebbe da tre fattori diversi: caratteristiche demografiche, abitudini culturali e ambiente.

Oltre a questi però, a volte, possono sopraggiunge anche altre specifiche e peculiarità. È il caso dell’Italia. Secondo lo studio fatto dal giornale insieme a decine di esperti sulle malattie infettive, epidemiologi e virologi di diverse zone del mondo, il dilagare dell’epidemia nel nostro Paese come anche in Francia, Spagna e Stati Uniti è dipeso da un altro fattore imprevedibile: il caso.

Lo riporta il sito ilmeteo.it che spiega come per l’Italia “la presenza di un “super diffusore” (una persona che infetta molti più individui rispetto alla media) in un singolo evento pubblico può avere innescato una catena dei contagi in un Paese con caratteristiche pressoché identiche a un altro, dove invece l’assenza di un simile evento casuale ha consentito un minor aumento dei contagi”.

Questo è quello che potrebbe essere avvenuto nel Bel Paese in tempi non sospetti e quando si conosceva poco o nulla della propagazione del Covid-19.

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Virus, le specifiche sui fattori da cui dipende la diffusione

Virus (Getty Images)

Come spiegato, secondo lo studio condotto, tre sono i fattori da cui dipende la diversa diffusione del virus sul pianeta. Su questo incide la demografia. I Paesi con popolazione giovane, infatti, sono stati quelli meno colpiti. I giovani sono più resistenti al virus ma anche meno contagiosi. Ne è un esempio l’Africa che ha fatto registrare solo 50 mila casi di positività. Ben pochi se confrontanti agli 1,3 miliardi di persone che vi vivono. Qui il 60% della popolazione ha meno di 25 anni.

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Anche le abitudini culturali fanno la loro parte. Le zone asiatiche, infatti, dove non è usanza darsi la mano sono quelle che pure non hanno sentito il colpo estremo del coronavirus. In India il saluto avviene a distanza unendo le mani, in Giappone e Corea del Sud con un inchino. Abitudini che riducono di certo il contatto e dunque il rischio di contagio. Ma tra le abitudini va annoverato anche il turismo. Quei Paesi più chiusi o meno dediti al turismo hanno ospitato meno viaggiatori e sono tra i meno colpiti dalla pandemia.

Infine l’ambiente. Non c’è ancora una correlazione certa tra clima e diffusione del virus. Ma è vero che la sua azione è iniziata in inverno in Paesi con climi temperati proprio come l’Italia e gli Stati Uniti. Il coronavirus non si è presentato, invece, nelle zone più calde del globo come Guyana in Sudamerica e il Ciad nell’Africa centrale.

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Coronavirus (Getty Images)

Virologi ed epidemiologi frenano però e dicono che è ancora tutto da studiare e verificare. Non è detto, infatti, che la stagione calda freni la diffusione del virus.

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