Ben Embarek, esperto dell’Oms avrebbe dichiarato piuttosto che optare per la chiusura di tutti i mercati, i Governi dovrebbero maggiormente vigilare sulle loro attività: la dichiarazione a scatenato le ire degli attivisti.
Secondo le più recenti rilevazioni il mercato di Wuhan in Cina avrebbe avuto un ruolo determinante nella diffusione del nuovo coronavirus. Che, poi, sia lì il luogo dove è avvenuto il salto dall’animale all’uomo del Covid-19 o che abbia agevolato la pandemia, è ancora un dato al vaglio delle autorità sanitarie.
Ne deriva che a seguito dei recenti accadimenti, ancor più accesa si è fatta la protesta per imporne ai governi la chiusura. Richiesta che da anni arriva a gran voce da parte degli attivisti i quali denunciano le barbarie ai danni degli animali che avvengono al loro interno. Il nome Wet Market, letteralmente mercato umido, deriverebbe anche dal fatto che la macellazione delle carni avviene con metodi truculenti sul posto, tanto che il sangue che sgorga a fiotti macchierebbe le sue strade sì da richiedere ingente quantità d’acqua per rimuoverlo. Per non parlare delle condizioni in cui vengono tenuti gli animali.
Di recente sulla chiusura dei mercati si erano espressi nomi noti appartenenti ai vertici di istituzioni di fama mondiale. Tuttavia già qualcuno, di altrettanto importante, aveva fatto notare che imporne la serrata definitiva avrebbe potuto avere conseguenze altamente negative nei confronti soprattutto di quelle comunità rurali che hanno accesso ai beni ivi venduti. Ora l’Oms è tornata sul punto, ribadendo proprio quest’ultimo concetto ed avanzando una proposta poco gradita agli attivisti per l’ambiente.
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I Wet Market non andrebbero chiusi, ma i Governi dovrebbero applicarsi in una maggiore attività di vigilanza. Queste le dichiarazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che avrebbero destato le ire degli attivisti. La considerazione proviene dall’autorevole voce, riporta la redazione di Greenme, da Ben Embarek, esperto dell’OMS in tema di sicurezza alimentare. A suo avviso vero è che il Wet market di Wuhan avrebbe avuto un ruolo determinante nello scoppio della pandemia. Tuttavia non è noto se sono stati gli animali vivi o gli utenti ad aver introdotto il virus all’interno del mercato.
Nonostante, sia bene noto che in tali luoghi vengono vendute specie il cui consumo delle carni sia altamente rischioso e che spesso le condizioni igienico sanitarie siano precarie, per Embarek ci sarebbe un’altra soluzione alla chiusura. A suo avviso non tutti andrebbero chiusi, gran parte di essi necessiterebbe solo di una miglior regolamentazione. Soprattutto in fase di smaltimento rifiuto e ridistribuzione della fauna viva che andrebbe tenuta separata da prodotti già confezionati.
Dichiarazioni che ovviamente nascono da una consapevolezza di fondo. Stando a quanto riferisce Greenme, l’esperto avrebbe dichiarato che i wet market sono fonte di sostentamento per numerose popolazioni del mondo. Il loro venir meno determinerebbe un grave pregiudizio per le comunità che se ne servono.
Le dichiarazioni di Ben Embarek hanno immediatamente fatto scalpore ed hanno raggiunto Teresa Telecky. La responsabile del dipartimento di fauna selvatica della Humane Society International ha invitato l’OMS a fornire immediatamente dei chiarimenti circa la posizione assunta nei confronti dei wet market. Ed ha sottolineato che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha il dovere di esortare i Governi ad una serrata di quei luoghi. Ciò al fine soprattutto di azzerare le possibilità che quanto accaduto con il nuovo coronavirus possa ripetersi.
Non molto tempo fa un posizione simile a quella dell’Oms l’aveva assunta Elizabeth Maruma Mrema, segretaria esecutiva ad interim della Convenzione delle Nazioni Unite sulla diversità biologica. Sono necessarie, però, delle precisazioni.
La Mrema aveva riferito al The Guardian, che l’epidemia era l’ennesimo messaggio inviato all’uomo dalla natura e che sarebbe stata davvero un’ottima idea chiudere i wet market. Tuttavia non poteva sottacersi, a suo avviso, che quei luoghi rappresentano per alcune comunità, specialmente quelle rurali e ad alto tasso di povertà l’unico modo per garantirsi la sopravvivenza. La loro chiusura, ad avviso della Mrema potrebbe causare un incremento del commercio illegale. L’aumento del bracconaggio durante il lockdown è come se avesse fornito delle conferme a supporto della sua teoria. Non avendo come approvvigionarsi, numerose comunità si sono dedicata alla caccia ed alla vendita dei prodotti sul mercato nero.
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Prima di serrare i wet market, dunque, bisognerebbe creare delle alternative.
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