La cooperante Silvia Romano si è convertita all’Islam come da lei stessa annunciata. Qualcuno che ha vissuto la sua situazione ritiene di sapere il perché.
Fu protagonista di un lungo sequestro nei panni della vittima, Cesare casella. Dal 18 gennaio 1988 al 30 gennaio 1990 lui rimase giovanissimo nelle mani dei suoi rapitori sui boschi dell’Aspromonte, in Calabria.
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Il suo rapimento avvenne quando aveva 18 anni mentre tornava a casa dopo una serata trascorsa con gli amici. Poi degli uomini armati ed incappucciati lo prelevarono di colpo caricandolo su un’auto. Cesare rimase con caviglie e collo incatenati, in uno spazio di appena 3 metri quadri. Per fortuna tutto si concluse con la sua liberazione ed oggi lui può anche festeggiare la nascita del suo secondo figlio, dopo che nel 2011 la moglie gli diede già una bella bambina. Casella parla a proposito del rapimento di Silvia Romano, che pure è durato un anno e mezzo. “Sono molto felice, non è facile per chi si ritrova a vivere in una situazione simile trascorrere anche ogni singolo giorno. È come andare in guerra e vedere in faccia il male più grande che le persone ti possano fare. Sono cose che lasciano il segno”.
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Silvia Romano, si è creato una sorta di affetto verso i suoi rapitori?
C’è chi parla di una sorte di sindrome di Stoccolma da parte di Silvia Romano nei confronti dei suoi rapitori. Ovvero una sorta di affezione. Un sospetto nato dopo l’annuncio della 25enne cooperante di essere diventata una praticante dell’Islam. Lei aveva riferito che tale scelta era sorta a circa metà del suo lungo sequestro nelle mani del gruppo armato fondamentalista al-Shabab. “È una scelta che va compresa ma non giudicata. Penso che Silvia tra un pò di tempo analizzerà quanto vissuto e farà delle valutazioni a posteriori”. A volte questa sindrome di Stoccolma si manifesta per paura. Per il timore di restare uccisa, di non rivedere i propri cari e quant’altro.
E allora il rapito finisce con il cercare delle nuove certezze, proprio in chi le sta facendo del male.
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