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Casi

Il massacro del Circeo: la storia di due ragazze vittime della “Roma bene”

Tra il 29 ed il 30 settembre del 1975 due ragazze vengono torturate, violentate ed una di esse uccisa in quello che verrà ribattezzato come “Il massacro del Circeo“.

Rosaria Lopez e Donatella Colasanti (foto dal web)

Violentate, seviziate, drogate ed una delle due uccisa. Questo il terribile destino toccato a due ragazze poco meno che ventenni, Rosaria Lopez e Donatella Colasanti: le vittime di quello che passerà alla storia come “Il massacro del Circeo“. Il terribile episodio criminale si consumò in una villetta nel comune italiano di San Felice Circeo nel settembre del 1975. Per quanto accaduto, i giudici condannarono tre giovani della “Roma bene”, uno dei quali, però, riuscì a sfuggire all’arresto rimanendo latitante per tutta la vita.

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Il massacro del Circeo: la ricostruzione

Angelo Izzo all’epoca dei fatti (foto dal web)

Nel settembre del 1975, nel pieno degli anni di piombo, anni di lotta e attentati terroristici che mettono sotto scacco il Paese, l’Italia rimane sconvolta leggendo le prime pagine dei giornali. Le stragi e le violenze di piazza lasciano spazio ad un massacro compiuto ai danni di due giovani studentesse in una villa di San Felice Circeo, in provincia di Latina. Quella orribile tragedia passerà alla storia come “Il massacro del Circeo“, nel quale due ragazze vennero sequestrate, seviziate ed una di esse uccisa. Le due vittime sono Rosaria Lopez, barista di 19 anni e Donatella Colasanti, studentessa 17enne. La prima purtroppo non sopravvisse, mentre la seconda ritrovata chiusa nel bagagliaio di un’auto in via Pola a Roma con gravi ferite e accanto al cadavere della Colasanti.

La terribile vicenda si consuma tra il 29 ed il 30 settembre 1975. Donatella e Rosaria avevano conosciuto pochi giorni prima due ragazzi, Angelo Izzo e Giovanni Guido, due studenti figli di imprenditori e facenti parte della “Roma bene“. I due rampolli, durante un appuntamento al bar Fungo di Roma, invitano le due ragazze per una festa che si sarebbe dovuta svolgere in casa di un amico a Lavinio, frazione di Anzio. Nel pomeriggio del 29 settembre i quattro si dirigono verso Villa Moresca, di proprietà di Andrea Ghira, 22enne che le due giovani non avevano mai ancora incontrato, per poi andare alla presunta festa a Lavinio.

Giunti sul posto, come emerso dalle testimonianze della Colasanti, dopo qualche ora Izzo e Guido iniziano a fare delle avances, che si facevano sempre più insistenti, alle due ragazze. Al rifiuto della Lopez e della Colasanti, i due, a cui poco dopo si aggiunge Ghira, aggrediscono le giovani torturandole e violentandole per un giorno ed una notte. Durante le torture, i tre raccontano di far parte della Banda dei marsigliesi e Ghira aggiunge di essere Jacques Berenguer, ossia il capo del gruppo criminale.

Secondo quanto raccontato dalla Colasanti e quanto ricostruito in seguito dai carabinieri che si occuparono delle indagini. Il gruppo, dopo le violenze, chiuse in bagno ed annegò nella vasca la Lopez. Stessa sorte per la studentessa: picchiata e colpita con un colpo di spranga mentre, approfittando di un attimo di distrazione degli aguzzini, stava provando a chiamare i soccorsi. A quel punto la Colasanti si finse morta e poco dopo i tre caricarono il suo corpo e quello esanime della Lopez nel bagagliaio della Fiat 127, intestata al padre di Gianni Guido, Raffaele. Diretti verso Roma, i tre aguzzini mentre si trovavano in auto, secondo quanto raccontato agli inquirenti dalla Colasanti, ridevano di quanto accaduto qualche ora prima facendo delle battute come “Zitti, ché a bordo ci sono due morte“.

Prima di disfarsi dei cadaveri, credendo che le due fossero entrambe decedute, Ghira, Izzo e Guido decisero di cenare in un ristorante che si trovava vicino l’abitazione di quest’ultimo. Parcheggiata l’auto in via Pola, appena i tre uscirono dall’abitacolo, la Colasanti iniziò a lamentarsi chiedendo aiuto nel tentativo disperato di attrarre l’attenzione di qualcuno. Quel qualcuno è un metronotte che passando vicino al veicolo sente i lamenti e avverte i carabinieri. Intercettando il messaggio intercorso tra i militari dell’Arma e la guardia giurata, sul posto si precipita un fotoreporter che documenta tutto fotografando il momento della liberazione della 17enne nonché la scena agghiacciante che si presenta davanti ai militari.

La Colasanti è ancora in vita e viene immediatamente trasportata in ospedale, dove le vengono riscontarti numerosi traumi e ferite per una prognosi di 30 giorni. A questi si aggiunge il gravissimo danno psicologico provocato dal massacro e le sevizie subite da cui non si riprenderà mai. Purtroppo per la Lopez, il cui cadavere giaceva accanto alla studentessa, non c’è più nulla da fare ed i soccorsi possono solo constatarne il decesso.

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Il massacro del Circeo: le indagini degli inquirenti

Scattano immediatamente le indagini e la caccia agli aguzzini responsabili di un simile gesto. Non passa molto prima che due dei malviventi, Izzo e Guida vengano arrestati. Ghira, invece, riuscì a fuggire divenendo latitante. Sui giornali finiscono le foto della liberazione della Colasanti e quelle dei due arrestati, tra cui quella di Guido che si mostra ai fotografi sorridente con le manette ai polsi. Grazie alle dichiarazioni della studentessa 17enne e le indagini, coordinate dal Maresciallo Gesualdo Simonetti, gli investigatori ricostruiscono l’accaduto che sconvolge per la sua brutalità l’opinione pubblica.

Gli investigatori risalgono, inoltre, al passato criminale di Ghira ed Izzo, che erano stati condannati alcuni anni prima a 20 mesi di carcere per una rapina a mano armata compiuta nel 1973. Izzo l’anno dopo era stato anche condannato a 2 anni e 6 mesi di reclusione, pena sospesa, per violenza sessuale ai danni di due ragazzine compiuta insieme a due amici. Ghira, nonostante il lavoro degli inquirenti, non verrà mai arrestato. Secondo successive indagini, si scoprì che quest’ultimo fosse scappato in Spagna e, sotto il falso nome di Massimo Testa de Andres, si arruolò nella Legione straniera spagnola e nel 1994 venne ritrovato senza vita, deceduto per via di un overdose all’età di 40 anni.

In molti, compresa la Colasanti, avevano manifestato dei dubbi sulla morte di Ghira, ma alcuni esami successivi del Dna sul corpo sepolto a Melilla confermarono che si trattava del latitante responsabile del massacro del Circeo

I processi nei confronti degli autori dell’efferato crimine

Per Izzo e Guido, il processo iniziò durante l’estate del 1976 e si concluse con una condanna all’ergastolo per i tre imputati (in contumacia per Ghira). Nell’ottobre del 1980, in appello i giudici confermano gli ergastoli per Izzo e Ghira, mentre la Corte d’Assise d’appello di Roma decise di ridurre la pena di Guido a 30 anni per il pentimento durante la reclusione in carcere ed in seguito ad un risarcimento di cento milioni di lire alla famiglia Lopez che non si costituì parte civile. Anche alla famiglia della Colasanti offrirono la stessa cifra che, però, venne rifiutata. La condanna per i tre divenne definitiva nel settembre del 1983, ad otto anni di distanza dal massacro, con la conferma della sentenza d’appello da parte della Corte di Cassazione.

I tre responsabili, anche dopo la condanna, rimasero sulle prime pagine dei giornali. Izzo e Guido nel 1977 riuscirono a prendere in ostaggio un agente di polizia penitenziaria del carcere di Latina per cercare di evadere, tentativo che non andò a buon fine. Nel 1981, però, Guido riuscì a scappare dalla casa circondariale di San Gimignano e rimase latitante per 2 anni. Catturato a Buenos Aires ed in attesa dell’estradizione fuggì nuovamente per essere poi definitivamente arrestato a Panama nel 1994. Guido è tornato in libertà nel 2009 usufruendo di uno sconto di pena per via dell’indulto.

Angelo Izzo, sulle spalle il massacro del Circeo e quello di Ferrazzano

Anche Izzo nell’agosto del 1983 riuscì ad evadere dal carcere, ma la sua fuga si interruppe ad un mese di distanza quando la polizia lo arrestò a Parigi ed estradato in Italia. Nel 2004 beneficiò della semilibertà, durante la quale partecipò ad un altro terrificante massacro, ribattezzato il “Massacro di Ferrazzano“. Nel comune in provincia di Campobasso, insieme ad altri due uomini, Izzo uccise Maria Carmela Linciano di 49 anni e la figlia 14enne Valentina Maiorano. Le due vittime erano la moglie e la figlia di un pentito della Sacra Corona Unita che l’uomo aveva conosciuto in carcere. Per il massacro, che aveva confessato agli inquirenti, venne condannato all’ergastolo nel 2007. Izzo si trova recluso attualmente nel carcere di Velletri, dove ha intrapreso l’attività di scrittore.

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Angelo Izzo (foto dal web)

Daniela Colasanti nel 2005 morì a causa di un tumore al seno, all’età di 47 anni dopo essersi battuta per anni al fine di ottenere giustizia per quanto accaduto. Alle due vittime del massacro, la Regione Lazio ha intitolato un premio con l’obiettivo di sensibilizzare sul tema della violenza contro le donne.

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