Il professore Gilberto Corbellini spiega come in Italia è stata affrontata la pandemia rispetto a quanto fatto nel passato e cerca di prevedere come e se tutto finirà
Come e quando finirà la pandemia da coronavirus è la domanda che si stanno ponendo tutti fin dal primo momento in cui, il mondo intero, si è reso conto che il Covid-19 sarebbe stato il vero flagello del nuovo millennio.
Domande più che giuste che si rinforzano in questi giorni dopo la fine del lockdown e la fase di riaperture, nella quale l’Italia e parte del mondo, cerca di ripartire e di ritrovare una parvenza di normalità. Per cercare di rispondere a queste domande è sceso in campo il New York Times che ha proposto un interessante articolo in cui si spiega la differenza tra la fine “medica” e quella “sociale” della pandemia. Cosa significa? Che le persone avrebbero un bisogno di normalità tale da cercare di ristabilire gli equilibri del passato anche se la notizia ufficiale della fine della pandemia da parte della comunità scientifica internazionale tarda ad arrivare.
Per rispondere a tutto questo, in Italia, ci ha pensato il professor Gilberto Corbellini, ordinario di storia della medicina presso l’Università La Sapienza di Roma. Lo ha intervistato Huffington Post e lo studioso ha subito preso le distanze dalla teoria pubblicata in America.
“Sono scettico su questa lettura perché il fatto che un’epidemia possa spegnersi socialmente, cioè terminare perché la società a un certo punto decide di ignorare la minaccia, vale soltanto quando questa minaccia non è più percepita” ha detto a chiare lettere. E ancora ha spiegato che nella storia della medicina non c’è nessun esempio di pandemie che si siano “chiuse socialmente” quando il tasso di mortalità era ancora alto.
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Pandemia, Corbellini dice la sua sull’Italia
E proprio sulla pandemia, sulla sua percezione e sugli esiti, Corbellini sviscera il suo pensiero. Secondo lo studioso il coronavirus ha fatto paura ma non troppo. Il motivo? La percezione della pandemia è “legata alla comunicazione” e dai numeri passati in tv sui morti l’emotività non è eccessiva. Non si parla di numeri “da far sì che le persone nella maggioranza conoscono qualcuno che è morto o che di questa malattia abbiano paura” ha detto Corbellini. E poi ancora, il coronavirus è un’infezione che colpisce soprattutto gli anziani e dunque la percezione di rischio è minore.
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“Si è diffusa all’inizio una paura ingiustificata, sulla scia dell’emotività suscitata dalla comunicazione – ha detto – E’ stato il virus più mediatizzato della Storia della Medicina” afferma senza nascondersi il professore che è sicuro di una cosa.
“Questo virus non rappresenta una minaccia per la specie”. Perché? Parlano i numeri dice Corbellini: “mettiamo anche che siano 100 milioni di contagiati, mi viene da pensare: per l’Asiatica nel 1958, abbiamo avuto tra uno e tre milione di morti, con oltre 500 milioni di casi”.
Quello fatto fino ad ora per lo studioso è stata più che altro una gestione sbagliata “tra il terroristico e il paternalistico”. Per capire bene di cosa si tratta il coronavirus per il professore bisogna guardare al passato. “Se avesse fatto il suo salto di specie nel 1920, non se ne sarebbe accorto nessuno perché la terapia intensiva non c’era, le persone di 75 anni e oltre con patologie pregresse sarebbero morte e basta” puntualizza.
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Tutto affrontato in modo eccessivo dunque per Corbellini che alla domanda “Come finirà la pandemia?” non può dare risposte certe. “Ci possiamo aspettare che piano piano la pandemia si spenga o mantenga focolai minori in Paesi con condizioni favorevoli al virus” spiega al giornale.