Roberto Dell’Era è il bassista degli Afterhours, il mitico gruppo indie rock italiano, nonché componente dei The Winstons e solista.
Roberto Dell’Era è il bassista degli Afterhours dal 2006. Abbiamo avuto l’occasione di intervistarlo e fare con lui una video chiamata. Il musicista ci ha parlato dei suoi prossimi progetti artistici e della sua carriera con le sue due band e come solista.
Ciao Roberto, il tuo ultimo album da solista è del 2015, ‘Stare bene è pericoloso’. Nel frattempo hai suonato anche con gli Afterhours, di cui l’ultimo disco è uscito nel 2016 e nel 2019 è uscito l’album ‘Smith’ con i The Winstons, non ti fermi mai. Adesso cosa stai facendo?
“Non posso fermarmi: chi si ferma è perduto. Quest’epidemia è capitata proprio nel momento in cui volevo rallentare un po’ per preparare il mio nuovo disco. In questo periodo ho trascorso molto tempo con la mia piccolina di quasi 7 anni. Noi musicisti saremo gli ultimi che torneremo a lavorare. È un momento di studio, osservazione, registrazione”…
Prima dell’emergenza sanitaria eri in giro con gli The Winstons?
“A fine gennaio abbiamo terminato le date. Mi ero poi inventato un paio di rassegne”.
Come sei arrivato nel 2006 agli Afterhours?
“È stato un momento ‘sliding doors’. Ero appena tornato dall’Inghilterra e non avrei mai immaginato di tornare in Italia. Un amico mi ha invitato a un party. C’era Manuel Agnelli a cui una mia amica ha fatto sentire alcune cose mie. Proprio allora gli Afterhours cercavano un bassista e sono subentrato io. Io conoscevo poco gli Afterhours”.
Ti ricordi il tuo primo concerto con Afterhours?
“Sì, quello che noi chiamiamo la data zero: il primo concerto l’abbiamo fatto in un locale a Bergamo che si chiamava lo Zero, quindi era perfetto. Eravamo entrati in concomitanza io ed Enrico Gabrielli”.
Gli Afterhours in quel momento non avevano quell’impatto che hanno avuto dopo.
“Sì la band è cresciuta, il percorso è stato unico nel panorama italiano. Avremmo dovuto trovarci proprio in queste settimane per buttare giù qualche idea”
Siete fermi dal 2016: 4 anni non sono da voi.
“L’anno scorso abbiamo fatto un evento al Forum di Assago per il trentennale della band. È stata una serata epocale, abbiamo impiegato molti mesi per organizzarla. Non c’è un’impellenza discografica, l’importante è che quando uscirà un nuovo disco sarà all’altezza dei precedenti, sarà un bel lavoro. La band continua a cambiare, è sempre a contatto con nuove cose, con quello che succede nel mondo e dentro di noi. Non suonare con gli After mi ha permesso portare avanti il discorso con i The Winstons, che è un’esperienza fantastica, non c’è un leader. Noi tre siamo tre fratelli, ci siamo dati la denominazione infatti di Winstons brothers. Siamo una band che non è come nessun’altra per mille ragioni. Tutti e tre scriviamo le canzoni. Ai nostri soundcheck scriviamo molti pezzi, improvvisiamo e registriamo con mezzi di fortuna. Molte canzoni sono nate così”.
A proposito della tua carriera da solista, quali sono i tuoi prossimi progetti?
“Fare un nuovo disco. Ho già in cantiere alcuni pezzi. Ho tante idee e approfitto di questo periodo per lavorare da casa. Noi musicisti la stiamo vivendo abbastanza bene in questo periodo anche se noi siamo la categoria più a rischio”.
Una domanda per i nostri lettori: qual è l’album dei The Winstons che consigli di più di ascoltare?
“Il primo è sempre, come per tutte le band, magico. Abbiamo registrato facendo due prove in sala prove e siamo andati in studio il giorno dopo e in due giorni abbiamo registrato tutta la base del disco. È stata un’esperienza incredibile. È stato forse l’unico disco che ho fatto che ascolterei sempre come se non fosse mio. È anche molto centrato nel suono. È tutto registrato su nastro magnetico come si faceva una volta e ripassato in digitale per fare degli editing”.
Qual è il tuo album preferito degli Afterhours?
“L’ultimo è forse quello che trovo pieno di idee, avanguardistico ma mi piace anche la parte dei testi. Manuel Agnelli ha fatto una gran bella opera sui testi”.
C’è una canzone che più di tutte preferisci cantare o suonare?
“Ci sono canzoni più impegnative, che temi di più e altre che preferisci suonare perché ti vengono meglio. C’è un pezzo di Miki Green, un mio amico e collaboratore, grande scrittore di canzoni che, come tanti nel mondo, non ha avuto successo. Lui ha scritto ‘Stay’, che ripropongo spesso. La prima volta che ho sentito questa canzone la trovai struggente. Un pezzo breve e sincero”.
Quand’è che hai capito che la tua strada era la musica?
“Le mie considerazioni sono cambiate con gli anni. Se dovessi metterla sull’ironia potrei direi che nel momento in cui ho capito che era troppo tardi per fare un passo indietro, ho realizzato che dovevo farlo a tutti i costi”.
In questi anni ci sono stati tanti cambi all’interno del gruppo, hai mai pensato di lasciare gli Afterhours, un po’ come succede nei grandi amori che prima poi qualcosa si incrina?
“È stato infatti come un grande amore all’inizio e poi è arrivato un periodo difficile. Un giorno stavamo a Radio Italia mi sono girate le paxxe, sono uscito, ho preso il tram e me ne stavo tornando a casa. Non l’ho mai raccontata a nessuno questa cosa… Ci ho riflettuto, poi ho ripreso il tram, sono tornato indietro e, per un ritardo, non era ancora partita la diretta. Nessuno si era accorto che ero stato via un’ora”.
Manuel Agnelli sa questa cosa?
“Sai che non mi ricordo… Non credo”.
Qual è il sogno più grande di Roberto Dell’Era?
“Il sogno più grande è la presa di coscienza universale da parte di tutti i leader del nostro pianeta di farci vivere in un posto migliore, di trovarsi a rete unificate, tutti i leader religiosi e comunicare a tutti che la religione in cui loro credono è solo una credenza perché è un senso di appartenenza alla loro tradizione locale. Sarebbe un grande sogno ma non lo faranno mai. Il sogno più piccolo invece è avere una casa e una macchina di proprietà”.
Invece il tuo sogno più grande a livello professionale?
“Va tutto già benissimo. La sfida è sempre con me stesso di fare un disco epocale. Non sono ancora arrivato da nessuna parte, o almeno così mi piace pensare”.
Federica Massari e Michele D’Agostino
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