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Soggetti positivi al virus prima del “paziente 1”: lo studio di un team di esperti italiani

Secondo uno studio effettuato su un campione dii donatori di sangue del Policlinico di Milano, ci sarebbero stati dei soggetti positivi prima ancora del paziente 1 di Codogno.

(Getty Images)

Il 20 febbraio scorso scoppiava in Italia l’emergenza coronavirus. Presso l’ospedale di Codogno poco più di tre mesi fa veniva scoperto il primo caso di contagio grazie all’intuizione di un’anestesista che decide di effettuare il tampone. Prima di quello che è stato ribattezzato come il paziente 1, Mattia un 38enne che dopo circa due mesi è guarito ed è tornato a casa, pare vi fossero già molti casi sul territorio lombardo. La circostanza è emersa da uno studio effettuato sugli anticorpi dei donatori di sangue del Policlinico di Milano.

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Coronavirus, uno studio sui donatori di sangue: “Un milanese su 20 positivo prima del paziente 1”

(Getty Images)

Un milanese su 20 era già entrato in contatto con il coronavirus sviluppando gli anticorpi già prima del 20 febbraio, giorno in cui è stato diagnosticato il primo caso in Italia. Questo è quanto emerge da uno studio effettuato sugli anticorpi dei donatori di sangue del Policlinico di Milano. Nel dettaglio, come riporta la redazione de Il Giorno, i ricercatori hanno esaminato un campione di circa 800 soggetti che hanno donato il sangue al centro di Ca’ Granda tra il 24 febbraio e l’8 aprile. Gli esperti attraverso un test sierologico, tra i più attendibili, hanno cercato di individuare le IgM (anticorpi che indicano un’infezione recente) e le IgG (che indicano un’infezione più lontana nel tempo). I risultati, come spiegano i ricercatori, hanno dimostrato che all’inizio dell’epidemia la “la sieroprevalenza era del 4,6%” ossia cioè un donatore su 20 era già entrato in contatto col coronavirus, sviluppando gli anticorpi.

Nelle settimane successive, come riporta Il Giorno, si è verificato secondo la ricerca un aumento progressivo fino al 7,1%, con Igg soprattutto tra donatori giovani, mentre IgM tra quelli più anziani. Gli autori dello studio hanno sottolineato, dunque, come il periodo del lockdown abbia contribuito soprattutto nelle persone più giovani a sviluppare un’immunità più duratura nel tempo.

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Gli obiettivi della ricerca, riferisce Il Giorno, erano quelli di indagare sui fattori di rischio associati al Covid-19 e quello rintracciare la presenza di asintomatici in Lombardia, la zona più colpita dall’epidemia sia in termini di contagi che di decessi.

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