I nodi della ripresa: Il rappresentante dei calciatori lancia perplessità sull’orario ipotizzato delle 16:30. Il caldo renderebbe difficile giocare
I nodi della ripresa del campionato di calcio continuano ad ingarbugliarsi. Si parla tanto di protocollo, medici e politica, ma si nascondono le continue perplessità lanciate dai calciatori, i protagonisti e coloro che correranno i rischi della ripresa. Il rappresentante dei calciatori, Damiano Tommasi, lancia l’ennesima perplessità. Stavolta è l’orario ipotizzato delle 16:30 a scatenare le polemiche. Il caldo renderebbe difficile giocare di pomeriggio. Va considerato, dice Tommasi, che gli atleti dovranno giocare ogni tre giorni dopo essere stati fermi per tre mesi. Ciò mette già a rischio la loro incolumità con infortuni molto più probabili.
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Così Tommasi sulla ripresa: “Una delle criticità maggiori che speriamo di risolvere è la partita alle 16.30 che in Italia a giugno e luglio non è pensabile. Oggi abbiamo atleti che dovranno fare partite ravvicinate e intense dopo un lungo periodo di inattività e quindi li dobbiamo mettere nelle condizioni migliori, anche dal punto di vista climatico. I calciatori non sono dei robot e quindi è chiaro che ci siano delle preoccupazioni. Il campionato si dovrà giocare ogni tre giorni. Quando si afferma che ‘dobbiamo ripartire’, chi decide non è chi va in campo”, conclude Tommasi. Dalle parole dell’ex centrocampista della Roma e della Nazionale si confermano perplessità. I calciatori non sembrano entusiasti di rientrare in campo a sentire Tommasi ogni volta che entra in scena pubblicamente. Tuttavia, manifestano perplessità, ma non palesano chiaramente la loro posizione che si evince senza troppi giri di parole e fronzoli: non vogliono rientrare in campo.
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I medici delle società non vogliono assumersi responsabilità ad alto rischio e buona parte dei presidenti non vogliono rinunciare allo spettacolo delle loro aziende. Il governo non fa altro che mettere insieme le varie posizioni ed è chiaro che con questo contesto non si riparte, ma non lo decide il governo, bensì la scarsa chiarezza e unità di intenti del mondo del calcio.
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