Lo Smart working diminuisce il rischio contagio ma contribuisce ad accrescere altri tipi di problemi: bar e ristoranti registrano ingenti perdite.
Il coronavirus ha radicalmente cambiato le nostre abitudini. Il governo, per ridurre la diffusione del Covid-19, ha imposto il lockdown chiudendo numerosissime attività e limitando la vita di tutti. Il turismo è sicuramente il settore più colpito: tra le varie misure di contenimento, è stato anche vietato lo spostamento tra le Regioni. Anche tante attività come bar, ristoranti e locali di somministrazione sono stati pesantemente abbattuti dall’emergenza. Da qualche settimana, tuttavia, è stato riaperto tutto ma ovviamente la normalità è ancora lontana e ci sono ancora limiti che riducono la clientela e di conseguenza gli incassi. Secondo quanto riportato da “La Nazione”, il caso Arezzo è emblematico. Nonostante la riapertura, lo Stato ha richiesto un utilizzo dello smart working anche in questa Fase 2 in modo tale da ridurre gli spostamenti e gli assembramenti.
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Lo Smart working non aiuta il commercio: il caso Arezzo
Lo Smart working riduce sicuramente il rischio contagio ma contribuisce ad accrescere altri problemi. Andando sul tradizionale luogo lavorativo, spesso si consumano colazioni e pasti in bar e in locali di somministrazione di cibi e bevande. Secondo quanto spiegato da ‘La Nazione’, ad Arezzo cinquemila persone in città hanno cambiato le modalità di lavoro. Allargando il discorso, sono oltre quindicimila considerando tutta la provincia. In un bar dove nel periodo normale si facevano da 120 a 150 pasti veloci, oggi si arriva a malapena a 40.
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Facendo alcuni calcoli, una spesa di 8-10 euro per 2.000 persone si traduce in un giorno in una perdita da 16mila a 20mila euro per i bar. Il totale annuale ammonterebbe a 5 milioni.