A distanza di 19 anni, non è stato ancora individuato il responsabile dell’omicidio di Serena Mollicone, la ragazza 18enne uccisa ad Arce nel 2001.
In un boschetto in provincia di Frosinone, nel giugno del 2001, venne ritrovato il cadavere di una giovane studentessa, Serena Mollicone. Della ragazza di 18 anni, che qualche settimana più tardi avrebbe dovuto affrontare gli esami di maturità, ne era stata denunciata la scomparsa due giorni prima dal padre. Dopo anni di indagini, un processo e varie piste seguite dagli inquirenti non è ancora stato identificato il colpevole del terribile omicidio. Negli scorsi mesi è stato chiesto il rinvio a giudizio di cinque persone, tra cui tre carabinieri, dopo che una perizia dei Ris avrebbe rilevato che il delitto si sia consumato tra le mura della caserma di Arce, comune in provincia di Frosinone dove la vittima viveva.
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Il 3 giugno del 2001 nel boschetto dell’Anitrella, in località Fontecupa, in provincia di Frosinone viene ritrovato il cadavere di una ragazza. In poco tempo gli inquirenti identificano il corpo: è quello di Serena Mollicone, la ragazza 18enne scomparsa da Arce due giorni prima. Sul posto, avvertiti dalla squadra della Protezione Civile che aveva fatto la tragica scoperta, si precipitano i carabinieri che fanno scattare le prime indagini dopo i primi accertamenti di rito. L’agghiacciante scena che si presenta davanti agli inquirenti fa subito pensare ad un omicidio. Serena viene ritrovata in posizione supina, con mani e piedi legati, del nastro adesivo su naso e bocca ed una busta di plastica attorno alla testa.
Serena, stando al racconto del padre Guglielmo, il 1° giugno era uscita di casa per recarsi in ospedale ad Isola del Liri (Frosinone) per un’ortopanoramica che aveva fissato da tempo. La ragazza sarebbe dovuta rientrare in casa nel primo pomeriggio per completare la tesina degli esami di maturità, che avrebbe dovuto sostenere qualche settimana dopo, ed incontrare il suo fidanzato. Al mancato rientro, il padre della studentessa dell’ultimo anno del liceo socio-psicopedagogico, preoccupato denuncia la scomparsa e scattano le ricerche che si concluderanno 48 ore più tardi con il drammatico ritrovamento del cadavere.
L’autorità giudiziaria dispone l’autopsia sul corpo, dalla quale emerge che Serena non ha subito violenze sessuali e sarebbe morta per soffocamento e per via di un colpo subito sul lato parietale destro della testa. Inoltre, l’esame autoptico rivela che la vittima è stata uccisa la stessa mattina in cui è scomparsa. Le indagini dei militari dell’Arma proseguono ed a poche ore dal funerale di Serena, ad una settimana dal ritrovamento, viene rinvenuto in un cassetto della sua stanza il cellulare. Dispositivo che era stato cercato da giorni e che non era stato trovato nelle precedenti ispezioni.
A pochi mesi dall’omicidio viene iscritto nel registro degli indagati un carrozziere di Arce, Carmine Belli, nella cui officina viene ritrovato un biglietto che sarebbe riconducibile a Serena. L’uomo nega ogni accusa, ma viene rinviato a giudizio. A processo verrà prosciolto da tutte le accuse e nel 2006 viene assolto definitivamente dalla Corte di Cassazione.
Dopo anni senza nessun riscontro, nel 2008 le indagini si spostano sulla caserma dei Carabinieri di Arce. Ad indirizzare gli investigatori verso quella pista è il brigadiere dell’Arma Santino Tuzi, che la mattina del 1° giugno era di piantone. Agli inquirenti il militare riferisce di aver visto entrare una ragazza, verosimilmente Serena, che poi non sarebbe più uscita dalla caserma, almeno sino al termine del suo turno di servizio. Gli investigatori, dunque, seguono la nuova pista ed emerge che Serena frequentasse amici in comune di Marco Mottola, ovvero il figlio del comandante dei carabinieri Franco. Secondo alcune dichiarazioni del padre della giovane studentessa in quel giro di amicizie circolava della droga che probabilmente Serena avrebbe voluto denunciare.
A due giorni di distanza dalla sua testimonianza in Procura, il brigadiere Tuzi viene ritrovato senza vita all’interno della sua auto nei pressi della diga di Arce. Il militare si sarebbe tolto la vita con la pistola di ordinanza sparandosi un colpo al petto. Il gesto estremo di Tuzi suscita non pochi dubbi, ma la versione ufficiale parla di un suicidio per motivi sentimentali legati alla relazione con una donna e non sarebbe collegato all’omicidio di Serena Mollicone.
A giugno del 2011, a dieci anni di distanza da quella terribile mattina, vengono iscritti nel registro degli indagati il comandante Mottola, il figlio Marco e la moglie con l’accusa di omicidio volontario e occultamento di cadavere. Nel registro degli indagati entrano anche il fidanzato dell’epoca di Serena e la madre di quest’ultimo, entrambe le posizioni vengono archiviate qualche mese più tardi. Intanto le indagini proseguono e viene svolta una nuova autopsia sul corpo di Serena, mentre i Ris effettuano nuovi rilievi. Nel 2018 emerge dalla perizia dei carabinieri che il delitto si sarebbe consumato all’interno della caserma di Arce. I reperti sequestrati all’interno di quest’ultima sarebbero compatibili secondo l’analisi dei Ris con le tracce di legno e vernice rinvenute sulle ferite riportata da Serena.
Nell’aprile del 2019 gli inquirenti chiudono le indagini e nel febbraio scorso è arrivata da parte della Procura di Cassino la richiesta di rinvio a giudizio per cinque persone: il comandante Mottola, il figlio, la moglie accusati di omicidio aggravato, mentre altri due carabinieri, uno per concorso in omicidio e l’altro per favoreggiamento. La decisione sul rinvio a giudizio non è ancora arrivata.
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Durante questi anni, in cui sono emerse numerose piste, il padre di Serena si è sempre battuto per aver giustizia e vedere i responsabili di quel delitto a processo. Purtroppo a quel processo non potrà mai assistere: Guglielmo, colpito da un infarto lo scorso novembre, dopo una degenza di diversi mesi, è deceduto il 31 maggio 2020.
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