La loro busta paga di aprile ha evidenziato che erano stati posti in cassa integrazione. La circostanza non desterebbe alcuno stupore se non fosse che quei lavoratori avevano sempre lavorato.
Così accade anche a molti lavoratori che sono in smartworking: pur essendo posti in cassa integrazione per tutte o parte delle ore di lavoro, svolgono le proprie attività se non a pieno regime in modo comunque più consistente rispetto a quanto sarebbero tenuti a fare.
In questo periodo emergenziale le situazioni non corrette si sono tutte esacerbate.
Ad esempio, i lavoratori autonomi, che hanno collaborazioni che mascherano rapporti di lavoro subordinato, non hanno diritto all’integrazione al reddito della cassa o quella salariale ma solo ai bonus una tantum.
Bonus che a volte hanno percepito in alternativa alle remunerazioni, pur lavorando.
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Da cosa deriva la tendenza a tagliare il più possibile la busta paga?
E’ interessante la lettura di Rosita Galdiero della Fiom, su Business Insider Italia, che punta il dito sulle gare al ribasso.
Infatti, è noto che l’applicazione del minor prezzo, apparentemente virtuoso da un punto di vista economico, induca le imprese a lavorare a condizioni in realtà insostenibili.
Ed è il costo del lavoro, di per sè molto oneroso nel nostro paese, a risentirne per primo.
E’ proprio in contesti del genere che accade di scoprire dal cedolino paga che in un mese perfettamente lavorativo, sebbene l’epidemia fosse al suo massimo picco in Italia, che in realtà il datore di lavoro aveva richiesto la cassa integrazione guadagni.
Ad aggravare il quadro la circostanza che molti lavoratori hanno vissuto la medesima situazione nei mesi scorsi, perfettamente consci ma impossibilitati di fatto a reagire.
