Luca Abete a tutto tondo: “Io un clown che regala sorrisi”

Luca Abete si racconta a YesLife e ripercorre insieme a noi tutte le tappe della sua vita professionale che non ha mai smesso di essere un continuo scambio con le persone

Luca Abete È uno degli inviati più seguiti e apprezzati di Striscia La Notizia che con la sua giacca verde, i suoi servizi di denuncia e la sua “pigna in pegno” ha conquistato il favore del pubblico. Lui è Luca Abete, avellinese doc, e come lui ama definirsi un “amante della comunicazione”.

Si perché Luca adora raccontare e comunicare, stare al contatto con la gente provando a regalare sorrisi, come quelli che un clown dona con le sue performance. E Luca un clown sente di esserlo a tutti gli effetti, perché ogni giorno con il suo lavoro cerca di aiutare le persone, non solo quelle che gli scrivono tramite il programma di Antonio Ricci ma anche parlando ai giovani e dando loro stimoli motivazionali.

Luca Abete non è solo Striscia La Notizia, ma è un vulcano di idee e di progetti, alcuni dei quali portati avanti da diverso tempo ormai e che lo rendono un mattatore della comunicazione e un vero precursore.

Di tutto questo e molto altro abbiamo parlato al telefono con Luca che si è raccontato a tutto tondo senza freni ed inibizioni.

Luca, oggi tutti ti conosciamo come reporter impegnato, ma uno dei tuoi grandi e primi amori è stato quello dei bambini. Hai iniziato come animatore e clown. Cosa ricordi di quegli anni?

Sono stati degli anni molto particolari, io ero studente di Architettura e avevo cominciato semplicemente per guadagnare qualche soldino. Sono però una persona pignola, un perfezionista e quindi quando andavo a fare queste festicciole volevo che fossero perfette e che i bambini si divertissero. C’ho preso gusto e ai bambini di allora non smetterò mai di dire grazie perché sono stati un po’ le mie “cavie”. Io mi cimentavo come se fossi il protagonista dello show in prima serata, anche se in fondo ero in un ristorante, con 10 bambini e pezzi di patatine che volavano dappertutto. Ma questo è stato un periodo bellissimo, quello della scoperta, di una professionalità ma anche e soprattutto di quello che fondamentalmente ero. Io dico sempre che bisogna esplorare ed esplorarsi perché ci può portare a delle scoperte meravigliose. Da lì ho capito il mio amore per questo lavoro ed è nata la consapevolezza di volerlo fare nella vita.

Da qui hai iniziato il tuo percorso tra radio e TV, c’è stata qualcosa in particolare che ti ha fatto capire che questa poteva essere la tua strada?

Io ricordo ancora il giorno che ho deciso di fare questo lavoro. Cominciai a fare il clown e non ero di certo tra i migliori che c’erano in circolazione però avevo i miei fan e le famiglie che mi chiamavano. Lavoravo anche come artista di strada e ricordo ancora il giorno in cui ho iniziato a capire che questo doveva essere il mio lavoro. Era l’inaugurazione di un centro commerciale in provincia di Roma e chiamarono me e tantissimi altri artisti. Passai tutta la mattina a fare animazione di contatto, a regalare sorrisi, ero una macchina da guerra instancabile. Poi feci pausa, mi cambiai, e mi resi conto che senza i panni da clown e da personaggio la gente intorno a me non mi guardava, non mi sorrideva, come succedeva prima. E allora in quel momento ho capito che le emozioni che mi restituiva il poter camminare in un corridoio con degli estranei che mi sorridevano e mi salutavano mi facevano stare bene. E quel giorno ho capito che il mio futuro non sarebbe stato costruire palazzi ma provare a costruire sorrisi nelle vite delle persone.


Lo dicevi, nei panni di un personaggio stavi bene tu e facevi stare bene gli altri. Poi comunque un personaggio nella tua vita professionale te lo sei costruito. Ci trovi un legame in tutto questo?

È proprio quello che alla fine sognavo. Io ho fatto tanta esperienza e ci sono state tante biforcazioni nella ma vita, ma in tutto questo ci vedo un filo sempre abbastanza lineare che mi ha portato ad essere quello che sono oggi. Sostanzialmente io non ho cambiato lavoro, io facevo il clown, regalavo sorrisi alle feste e oggi regalo sorrisi in televisione a quelle persone che mi scrivono in cerca di aiuto. Il clown sostiene la persona triste per renderla più serena e io a Striscia La Notizia faccio altrettanto. Ricevo centinaia di segnalazioni al giorno di persone che hanno bisogno di una mano e proviamo ad aiutarle con gli strumenti che abbiamo a disposizione. Lì avevo i panni del clown, ora nei panni di Luca Abete con la giacca verde e la pigna nella tasca, c’è una continuità evidente se uno la guarda con attenzione. Ho iniziato partecipando al concorso per i nuovi inviati per Striscia e ho fatto vari anni di gavetta durante i quali non andavo quasi mai in onda. Poi i miei servizi sono diventati più frequenti e quando nel 2008 ho cominciato a lavorare con costanza ricevemmo un premio importante a Napoli e venne anche Antonio Ricci. Lui era molto contento di aver trovato finalmente un inviato dalla Campania e mi disse: “Ricordati che sei un clown, non dimenticarlo mai”. In questa parola c’era un mondo perché il clown è quello che regala un sorriso senza nulla in cambio e gioca sull’autoironia nel prendere in giro prima sé stesso e poi gli altri. E Ricci mi fece capire che queste erano veramente le leve che potevano spingere la mia figura in alto e diventare un punto di riferimento per il programma.

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E così è stato..

Devo dire che non l’ho deluso visto che andiamo avanti con grandi risultati, sia con quantità che qualità e siamo riusciti, in Campania in 15 anni, ad ottenere risultati incredibili.

Oltre Striscia La Notizia tu porti avanti tanti altri progetti. Tra questi One Photo One day con il quale hai anticipato la moda dei selfie. Come è nata questa idea di creare una sorta di collezione fotografica virtuale? Sei stato un grande precursore per quei tempi..

La curiosità, la voglia di sperimentare e di vedere sempre dietro l’angolo cosa c’è mi hanno aiutato tantissimo nella vita in generale ma soprattutto a voler percorrere strade nuove ed originali, non quelle battute già. Sono una persona curiosa e quindi se metti questi elementi insieme al grande amore per la comunicazione.. ho mollato tutto per comunicare con le persone che non conosco. Ho capito che era in corso una rivoluzione tecnologica e che su una schedina sottilissima si potevano raccogliere centinaia di fotografie e potevi rivederle. In quel momento, ho capito che lì c’era un mondo da esplorare e svilupparlo in tutte le sue forme. Mi sono appassionato alla fotografia digitale, non sono un fotografo professionista ma un comunicatore della fotografia. Ho iniziato a farmi delle foto da solo per provare a raccontare un anno della mia vita facendomi una foto. E devo dire la verità ci ho preso gusto e questa foto al giorno è diventata un progetto che a breve raggiunge 10 anni. Ho vissuto tantissimi passaggi, dalle fotocamere ai cellulari che fanno delle foto ottime. All’inizio quando mi scattavo le foto da solo la gente per strada mi prendeva per un povero sfigato, uno che non avesse nessuno che gli scattasse una foto e mi chiedevano “scusa vuoi che te la faccio io” e io dicevo no no faccio da solo e mi guardavano come se fossi un marziano, un poveraccio. Nel 2013 il selfie si è sdoganato. Sono contento di aver cominciato questo progetto che doveva durare un anno, siamo arrivati a 10 e ormai scattare un autoscatto per me consuetudine, è come lavarsi i denti la mattina. Abbiamo fatto anche convegni, mostre, e non ti nascondo che nei convegni fatti 5 anni fa nascevano dibattiti molto accesi rispetto al farsi le foto da solo, con appellativi anche denigratori. Ma io sono rimasto sempre convinto della bontà dello strumento non in termini professionali fotografici ma in termini legati alla comunicazione. Oggi si comunica anche con questo, io l’ho capito un po’ prima degli altri ma non dimentichiamo che tutti i precursori faticano non poco per cercare di far valere le proprie idee.

Dicevi che vuoi sempre provare qualcosa di nuovo e lo hai fatto anche con il tuo #NonCiFermaNessuno. Come è nata questa iniziativa? E qual è il messaggio che vuoi mandare ai giovani?

Noi adulti abbiamo sempre un giudizio per i giovanissimi dimenticando di essere stati anche noi ragazzi. Amo molto confrontarmi con la realtà che mi circonda e sono stato invitato molte volte in università e istituti superiori per parlare del mio lavoro. Vedevo nei ragazzi il grandissimo bisogno di punti di riferimento a cui aggrapparsi. Se io parlavo del mio lavoro loro erano attenti e non particolarmente stimolati mentre quando qualcuno mi chiedeva come sei arrivato a Striscia e io gli raccontavo il mio percorso, ecco lì nasceva un’attenzione che mi stupiva. Così capii che più che l’ennesima lezione su come diventare dei professionisti ai ragazzi serviva un esempio concreto al quale aggrappare la loro fiducia e la loro speranza. Così ho messo su #NonCiFermaNessuno, anche questo nato come un esperimento, con l’obiettivo di provare a parlare ai ragazzi di coraggio. Anche in questo siamo stati precursori e ho capito che ai ragazzi bisognava parlare non tanto di successi ma di sconfitte e magari come affrontarle, capirne il valore educativo. La sconfitta in sé può essere anche un punto di partenza importante per consolidare le proprie basi e certezze, per correggere i propri difetti. Ai ragazzi dico sempre che non bisogna mai aver paura di giocare la partita ma bisogna scendere in campo: la vera sconfitta è quando la partita rinunci a giocarla. Se perdi una partita probabilmente avrai sbagliato qualcosa e dall’analisi degli errori fatti sicuramente può nascere una nuova consapevolezza. Ai ragazzi racconto di tutte le volte in cui pensavo di non farcela. Il mondo accademico all’inizio era molto scettico, poi abbiamo raccolto dei successi enormi.

Luca Abete

Questa iniziativa ti ha portato a raggiungere grandi riconoscimenti. Prima tra tutti il titolo di Professore ad Honorem dell’Università di Parma. È stato importante per te?

Sì, molto. In un’Università in cui non conosci nessuno e loro non conoscono te, il fatto che mi abbiano conferito questo riconoscimento importantissimo ti conferma due cose: che il percorso è giusto, necessario e utile ma soprattutto che quando si fa e si prova a fare bene e si corregge sempre in corsa quello che si sta facendo cercando di renderlo sempre più potente ed efficace, i risultati arrivano. Quando si parte con qualcosa che può sembrare folle ma in cui ci credi veramente possono arrivare delle soddisfazioni come queste che non mi aspettavo di ricevere mai e che sono arrivate a sorpresa da persone dalla sensibilità fuori dal comune.

Poi è arrivata anche la Medaglia del Presidente della Repubblica. Che momento è stato?

Noi avevamo semplicemente coinvolto i Ministeri per chiedere una partecipazione istituzionale intorno a questo progetto. A sorpresa non solo è arrivato il patrocinio del Ministero ma anche la Medaglia del Presidente della Repubblica. Un riconoscimento importantissimo che, anche in questo caso, ci fa capire che al mondo non c’è bisogno per forza della raccomandazione, essere amici dei potenti, ma bisogna solo impegnarsi e si possono raccogliere delle cose importanti come queste.

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#NonCiFermaNessuno. ti ha portato anche al fianco di Papa Francesco a parlare davanti a 7000 ragazzi. Un grande onore immagino, che emozione hai provato?

È stata un’emozione incredibile. Sono molto contento di tutto questo, è un continuo scambio tra dare e ricevere che mi dà la forza di andare avanti. Quella è stata una giornata molto particolare perché ero veramente felice come un bambino al luna park. C’erano migliaia di ragazzi che volevano fare un selfie ed io mi feci almeno un’ora di selfie con loro che non potevano muoversi perché stavano dietro le transenne. Mi sono fatto tutto il giro della Sala Nervi, che è enorme, finché non è cominciato l’evento vero e proprio. Ho dato il massimo di me stesso e come sempre io non mi preparo mai un discorso, guardo le persone negli occhi e cerco di capire quali possono essere le parole giuste in quel momento. E lì il tempo è volato, come se fossi in un sogno. Ho sempre un senso di debito nei confronti delle persone: pensare che c’erano persone che erano venute da tutte le parti d’Italia, che avevano viaggiato tutta la notte ed erano venuti lì mi faceva sentire particolarmente in debito con loro. E questo è il grande insegnamento del clown che non fa mai uno spettacolo uguale al precedente ma guarda negli occhi il pubblico e gioca con le persone che ha di fronte. E io continuo a giocare cercando di creare questa sinergia, questo scambio che ci fa abbattere le barriere.

Luca Abete

È proprio questo che ti fa essere così amato dal tuo pubblico..

Sì io sono stato un grande fruitore dei social network e ho sempre scambiato molti messaggi, commenti e provo a leggere tutto quello che mi arriva perché credo che sia importante non creare delle barriere tra noi e chi ci segue. Utilizzo i social network come dei feedback. Devi sapere che la prima volta che ho fatto televisione sono rimasto scioccato. Fino al giorno prima io facevo il clown e lo spettacolo si nutriva degli sguardi delle persone e capivo quando insistere oppure quando fermarmi. Quando sono andato la prima volta davanti la telecamera, nello studio, ho avuto uno shock perché mi sono reso conto che non avevo gli sguardi del pubblico, ero solo in una stanza con delle luci in faccia e non potevo calibrare quello che avevo da dire. Questo è il grande limite della televisione che io cerco di compensare con la lettura dei social network. I commenti ed i messaggi ci danno degli indirizzi, a volte ci criticano e li ringrazio perché ci danno la possibilità di capire meglio come lavorare.

Il tour di #NonCiFermaNessuno doveva ripartire a marzo e per via dell’emergenza sanitaria è stato bloccato ma di certo non ti fermerai. Cosa hai in mente?

No no assolutamente. Abbiamo lavorato in queste settimane creando degli eventi virtuali con varie realtà del mondo giovanile. Abbiamo fatto un evento molto bello, il #NonCiFermaNessuno WebTalk con una trentina di istituti collegati da tutta Italia con i quali abbiamo creato uno scambio molto interessante per non fermare questa nostra voglia di stare vicino ai ragazzi. Ma stiamo già lavorando per provare in autunno a realizzare in qualche modo il tour fisicamente, come piano B. Ma abbiamo già pronto il piano C che potrebbe essere sviluppato creando un talk show con i ragazzi protagonisti insieme a degli ospiti. Siamo al lavoro in queste settimane per cercare di pianificare quello che in autunno succederà. In qualche modo non ci fermeremo..

E proprio perché non ti ferma nessuno, nemmeno di fronte alla violenza e alle aggressioni ti fermi vero?

No, ormai sono quasi abituato. In 15 anni di Striscia La Notizia ci sono stati veramente tanti episodi che se metto insieme tutte le giornate di prognosi che mi hanno refertato negli ospedali superiamo i tre o quattro mesi. Fa parte un po’ del gioco ma non bisogna darle per scontate queste cose, tutti gli episodi di violenza sono sempre da censurare. E ci tengo a sottolineare che il nostro approccio è sempre molto cauto, rispettoso anche dei peggiori individui. Quando noi andiamo a chiedere conto a qualcuno non andiamo per massacrarli o per giustiziarli. Abbiamo un problema che dobbiamo affrontare e se scopriamo una magagna riteniamo che sia giusto andarne a parlare con la persona interessata anche per dargli la possibilità di spiegarcelo. Il confronto è alla base di un lavoro fatto bene. Le forme di violenza in generale sono sempre brutte da vedere e non ci piace raccontarle. Siamo dei cronisti e a volte siamo costretti a raccontare anche questo. Fare l’inviato in questo modo, camminare nei campi, sporcarsi le scarpe implica anche questo rischio. La mia vita è cambiata negli anni. Non c’è solo il campo televisivo in cui può avvenire un’aggressione ma c’è anche la tua vita privata e ti puoi ritrovare aggredito anche senza avere la giacca verde, un microfono in mano e un cameramen che ti segue. Quando si spegne la telecamera c’è un rischio che esiste per me e gli altri inviati ma compensato dalla soddisfazione di riuscire a cambiare le cose e di essere dei punti di riferimento per tante persone che non ce la fanno più.

Hai mai avuto paura Luca?

Io sono probabilmente incosciente o forse mi piace pensare che la passione che ho per questo lavoro che faccio in maniera così puntigliosa e maniacale mi porta a vivere quelle situazioni con lucidità e freddezza, senza farmi trovare mai impreparato. Ovvio che sono preoccupato e devo gestire la situazione con decisioni che vanno prese in un attimo. La mia grande paura è che possa succedere qualcosa alle persone che sono con me e mi preoccupo anche di salvare l’attrezzatura perché lì ci sono tutte le prove che ci aiutano poi a spiegare quello che è successo anche in termini legali, non soltanto televisivi. Paura mai e quando la gente mi dice “Ma chi te lo fa fare” io rispondo che ognuno ha una propria dimensione e penso che sia importante credere in quello che si fa, fare le cose con passione con mille precauzioni e prudenza cercando di portare avanti quella missione che senti dentro. La gente mi dice sei coraggioso e io rispondo che non è vero: quando faccio le analisi del sangue, infatti, ho paura e svengo tutte le volte. Non vuol dire coraggio ma passione perché quando c’è riesci ad arrivare anche dove gli altri non arriverebbero.

Il Covid non ha fermato l’azione di Striscia che è andata avanti anche se in modo diverso. Come è stato reinventarsi?

Abbiamo temuto che le misure nazionali ci fermassero ma non ci siamo fermati e il merito è di Antonio Ricci che ha voluto provare a continuare il nostro percorso e noi lo abbiamo seguito con convinzione come una squadra, fatta di persone vere, è giusto che faccia. È stato difficile non poter uscire in strada, il mio habitat naturale, ma siamo riusciti comunque a trovare nuove forme di narrazione che hanno mantenuto insieme il programma. C’è da dire che in quei giorni abbiamo registrato numeri di ascolti spaventosi giustificati dal fatto che le persone erano tutte a casa e questo rende ancora una volta Striscia un programma di successo perché piace ma anche perchè riesce anche ad arrivare dove la tv pubblica non arriva. Noi facciamo un vero e proprio servizio pubblico al fianco dei cittadini provando ad aiutarli. Ma in un momento di pandemia in cui le persone tremavano e si ritrovavano nel terrore, siamo riusciti a regalare ai telespettatori anche dei momenti di svago e non li abbiamo abbandonati. E questo è un altro elemento in linea con quello che è la nostra filosofia che mi rende orgoglioso di far parte di questo progetto.

E per la prossima stagione cosa dobbiamo aspettarci dalla vita professionale di Luca Abete?

Io sono molto contento di quello che abbiamo fatto negli ultimi anni, ho trovato una dimensione sui miei impegni abbastanza calibrata. Il mio sogno per questo 2021 sarebbe potermi rivolgere ai bambini portando loro un messaggio motivazionale. Quando sento parlare di bullismo sono sconcertato e dentro di me nasce grande rabbia, non tanto verso il bullo ma verso il fatto che si fa sempre troppo poco. Sono convinto che aumentando l’autostima e la consapevolezza dei propri mezzi e del proprio valore nei più piccini si possano consolidare le loro certezze. E se ci saranno bambini sicuri e più forti probabilmente avremmo ridotto il numero di quelli che li maltrattano e li bullizzano. È un concetto del quale sono sempre più convinto e sul quale mi piacerebbe lavorare nel 2021.

Francesca Bloise

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