Abbiamo avuto il piacere di intervistare Cecilia Quadrenni, cantante senese con un affascinante universo interiore tutto da raccontare.
Vivace, poliedrica e riflessiva, Cecilia Quadrenni è un’artista che ha dedicato la sua intera vita alla musica. Nata a Siena ed appassionatasi fin da subito ad ogni forma d’arte, ha studiato violino, mimo e recitazione, prima di inseguire il suo sogno e diventare a tutti gli effetti cantautrice. Oggi, con lo stesso entusiasmo e passione, si è raccontata a noi, permettendoci di gettare uno sguardo al suo intricato ed affascinante mondo interiore.
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Buongiorno Cecilia, innanzitutto grazie per aver accettato il nostro invito. Raccontaci qualcosa di te: quando nasce la tua passione per la musica?
La passione per la musica è nata insieme a me, ma c’è stato un momento in cui ho capito che era sopra a tutto e quindi ero anche disposta a rinunciare ad alcune cose. Secondo me è lì che vedi che hai una sorta di “missione”, perché quella determinata cosa ti prende tutta la giornata, ti passano le ore e non ti accorgi di quello che stai facendo. Poi crescendo ti rendi conto che sei disposto a tanti sacrifici e a tante rinunce pur di portare avanti i tuoi progetti. Ecco, in quel momento mi sono accorta che c’era qualcosa dentro di me che voleva sbocciare e che andava accolto.
Oltre a cantare, suoni il violino e hai studiato mimo e recitazione. Quanto é importante per un artista imparare a spaziare tra generi diversi?
Allora, preciso che violino l’ho studiato tempo fa per formazione personale. Adesso lo posso prendere in mano e faccio qualche nota, ma è uno strumento che richiede una continua pratica, quindi diciamo che adesso non lo suono più. Però, sì, secondo me è molto importante spaziare. Io mi sono avvicinata a queste cose perché, essendo piccola, non avevo la capacità di dire “voglio cantare”, anche se già sapevo che era quello che mi interessava. Ero attratta anche da altre forme artistiche e tutte queste in qualche modo ti formano. Per esempio, il violino è fondamentale per l’intonazione, il mimo per l’espressività del corpo. Sono tutte cose che ti avvicinino al tuo mondo interiore, poi decidi tu di esprimerlo come vuoi.
Sempre esplorando la tua storia personale, ho scoperto che hai studiato Psicologia. Credi che i tuoi studi ti siano stati utili per descrivere le emozioni e gli stati d’animo di cui parli nelle tue canzoni?
Io pensavo di no, all’inizio. In realtà ora mi sto accorgendo che gli studi di Psicologia, rispetto ad altre materie, ti formano sia la mente che l’animo. Mi hanno dato la voglia di cantare in profondità, di non rimanere in superficie. Anche nella musica, in quello che sento, cerco di andare a fondo. Faccio un tipo di musica che a livello di melodia può essere leggera, ma nei testi cerco sempre l’essenza delle cose, difficilmente mi fermo all’apparenza. Forse in questo i miei studi mi hanno influenzata.
Hai esordito nel 2012 con un ep di cover dal titolo ironico e provocatorio, “Molto personale”. Qui troviamo cover di canzoni celebri come “Paparazzi” di Lady Gaga e “Take on me” degli A-Ha. Qual è quella che hai amato di più impersonare e perché?
Sicuramente “Take on me”, sia perché a livello vocale è più facile addossarmela, sia perché è un brano che ha fatto la storia della musica. Mi piacciono molto gli A-Ha. Tra l’altro è un brano che è nato per una coincidenza: avevo fatto delle cover da suonarle a Londra, ma non gli avevo dato troppa importanza. Poi una volta, per caso, nel 2012, ero in un ristorante con dei collaboratori e stavamo decidendo quale singolo far uscire. Dato che nel locale era finita la musica, mi chiesero se avessi un cd con me e io gli detti questo, anche se l’avevo portato solo per la voce. Il cd suscitò un grande interesse nella gente che era al ristorante, perciò il mio produttore mi disse “Guarda che questo brano è molto interessante, è davvero particolare il modo in cui lo hai rifatto”. Devo dire che questo pezzo mi ha dato grandissima soddisfazione anche a livello radiofonico. Le radio di solito sono molto indifferenti, è davvero difficile per un emergente, invece ho avuto davvero tanti passaggi: l’hanno passato Radio Capital, Radio 101, Radio 1 e varie altre. Per me è stata una sorpresa.
Prima mi parlavi di Londra. Continuando lungo il filo della tua storia personale, vediamo che nel 2013 pubblichi il tuo primo ep di inediti, “To Summer”, i cui brani sono tutti in lingua inglese. Poi, nel 2017, esce il singolo “Corsaires”, questa volta in francese. Ci racconti qualche retroscena di questi brani? Perché proprio dei testi in lingua?
Io, come cantautrice, ho una forte predisposizione nei confronti della melodia. Per quanto riguarda i testi, li considero una sorta di “strumento” da aggiungere alla canzone. In generale, sono molto poliedrica riguardo alle lingue proprio perché le considero degli strumenti. “To Summer” uscì in inglese sulla scia di “Molto Personale”, che conteneva cover in lingua. “Corsaires” invece è in francese perché ho delle origini francesi. Mia mamma è cresciuta in Francia, per cui il francese per me è una lingua vicina. Conoscevo un giornalista francese che aveva scritto il testo e io l’ho musicato per la televisione Youssou Ndour. Quindi diciamo che ci sono state anche delle coincidenze che mi hanno portata a cantare in lingua. Io non dico mai “Sono italiana e quindi devo cantare in italiano”. Mi piace spaziare, perché considero le lingue un suono e per ogni canzone c’è un suono che le si addice.
La prossima è una domanda molto inflazionata, ma le risposte che i cantautori danno sono sempre molto diverse tra loro: nello scrivere una canzone, nascono prima le parole o la musica?
Per me sicuramente la musica, anche se a volte mi è capitato di musicare testi di altri autori. Ma per le mie canzoni nasce assolutamente prima la musica, poi dopo vengono le parole, che secondo me diminuiscono sempre la bellezza di ciò che uno fa. Poi ci sono sicuramente dei testi bellissimi, ma è una mia sensazione personale. La parola concretizza tutto, mentre la musica è molto più universale.
Tornando alla tua carriera, arriviamo al 2019 con il tuo primo brano in italiano “Esco Nuda”. Qui, come dice il titolo, ti metti a nudo e racconti chi sei. Chi è la Cecilia Quadrenni che finalmente, a sette anni dal suo primo ep, “esce nuda”?
Penso che per dire chi siamo non basti una vita. Sicuramente so che “Esco nuda” è legato ad un sogno che facevo e in questo probabilmente c’è sicuramente un legame con i miei studi di Psicologia. Quando si ha un problema, spesso si sogna di uscire nudi. Uscire nudi rappresenta in qualche modo il disagio che viene fuori quando si hanno dei momenti difficili, quindi farci una canzone significava anche esorcizzare le paure e le timidezze. Io sono una persona molto timida e nessuno se ne accorge. Spesso cerco di combatterlo, ma c’è un momento in cui riesco anche ad ammettere che siamo tutti pieni di paure. Sono le paure che ci portano avanti e che ci spingono anche a fare dei passi falsi, a volte. Sarebbe carino capire che siamo tutti sulla stessa barca, siamo tutti molto fragili e, anziché far finta di essere chissà cosa, dovremmo dichiararci per quello che siamo. Se mi chiedono “Chi sei tu?” posso rispondere “Forse sono nessuno, sono una come tanti, ma sono anche in contatto con me stessa”. E questa è una cosa bella, l’obiettivo della vita, forse.
Fuor di metafora, cosa vuol dire al giorno d’oggi per una donna “uscire nuda” e non avere paura di farlo, sia a livello fisico che “personale”?
Allora, psicologicamente, per le persone in generale, è ciò che ho appena detto ed andrebbe fatto. Per una donna fisicamente non è possibile, perché la società è patriarcale e non è paritaria, perciò una donna non è mai veramente libera di essere se stessa. Io faccio sempre un esempio: se una donna va in un locale e si vanta di aver avuto tanti uomini, deve stare in guardia perché alla fine c’è sempre il malintenzionato che cerca di approfittarne. Un uomo non ha mai paura di sbandierare i propri amori, mentre una donna, se si mostra troppo libera da quel punto di vista, deve sempre fare i conti con la possibile violenza di qualcuno. Probabilmente, se avessi una figlia, anche io le direi “Sì, sii te stessa, sii libera, però non lo mostrare”. È ingiusto, però purtroppo è così.
Pensi che questa cosa si possa cambiare, magari tramite l’educazione?
Io sono sicura che cambierà. Già rispetto alle nostre nonne, le nostre vite sono diverse e noto anche che i ragazzi di oggi sono diversi. Anche, per esempio, nell’approccio all’omosessualità, vedo che ne parlano con molta tranquillità. Noi non lo facevamo. Penso che le cose cambieranno, ma ancora c’è molto da fare.
Il tuo ultimo singolo è “Verso Oriente”, nel quale racconti in chiave metaforica la fine di un rapporto, paragonandolo ad una guerra, distruttiva e trasformatrice. Il testo è molto tagliente, ma i versi del ritornello danno speranza. Perché secondo te sentiamo ancora il bisogno di stringere chi ci ha fatto del male?
In realtà non è proprio legato alla persona che ti ha fatto del male, anche se lo sembra. È più un modo per dire “torniamo in contatto con noi stessi, con il nostro senso di pace”. Può essere legato a qualsiasi rapporto, ma anche al rapporto con noi stessi, dato che siamo sempre in guerra. Alla fine la resa è la vittoria più grande. Non porta necessariamente a ricominciare il rapporto, ma aiuta a capire che siamo tutti fragili e spesso ci combattiamo inutilmente. È un modo per tornare in sintonia con il mondo.
Abbiamo visto com’era Cecilia Quadrenni otto anni fa, al tempo del suo primo ep. Come si immagina Cecilia tra altri otto anni?
Io a volte non lo penso il futuro. Sarei felice di essere come adesso che sono in corsa. Mi piacerebbe pensare che ho fatto dei passi, come li sto facendo adesso. L’importante è essere sempre in movimento. Non so dove uno può arrivare, perché questo non ci è dato saperlo, però sicuramente mi piacerebbe avere un pubblico più grande rispetto a quello che ho ora, che a sua volta è più grande di quello che avevo nel 2012. Mi aspetto di continuare ad evolvere. Sicuramente mi piacerebbe fare tanti spettacoli dal vivo, perché viviamo in una società dove la finzione sta invalidando anche la musica. Visualizzazioni, singoli e video messi su Facebook o su YouTube rendono tutto molto virtuale. È un po’ come gli amori virtuali: alla fine hai voglia di vedere le persone e cantare davanti a loro.
Costanza Bordiga
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