Si apre con “Mio fratello rincorre i dinosauri” la rassegna cinematografica Cinema in giardino di Riccione. A presentare la prima serata il regista Stefano Cipani, che abbiamo avuto l’onore di intervistare.
Come di consueto da alcuni anni a questa parte, la notte riccionese si anima con la rassegna cinematografica Cinema in giardino. Tra i film in proiezione nel cuore del centro storico, pellicole pluripremiate quali Parasite e Un giorno di pioggia a New York, ma anche cartoni animati adatti ai più piccoli, come Il piccolo Yeti.
A presenziare la giornata di apertura di sabato 11 luglio, due ospiti speciali: Stefano Cipani e Lorenzo Sisto, rispettivamente regista e coprotagonista del film Mio fratello rincorre i dinosauri. La pellicola, che vanta anche una candidatura ai Nastri d’argento, ha vinto il David di Donatello Giovani come miglior film. Dopo la proiezione, gli ospiti hanno risposto ad alcune domande del pubblico e Stefano Cipani si è dimostrato incredibilmente disponibile a scambiare due parole con noi.
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Basato sul romanzo autobiografico di Giacomo Mazzariol, Mio fratello rincorre i dinosauri è un racconto di formazione, che segue le vicende di Jack e Giò, dall’infanzia fino alla prima adolescenza. Giacomo, detto Jack, è un bambino affabile e curioso, dotato di quel potere immaginifico -tipico dell’infanzia- capace di trasformare ogni cosa in un’avventura. Giunto all’età di 14 anni, però, il ragazzo si rende improvvisamente conto che il fratello Giovanni, affetto da sindrome di Down, può rappresentare un ostacolo per la sua vita sociale. Così, da amabile compagno di giochi, Giò diviene una presenza ingombrante dalla quale Jack tenta invano di sfuggire, ritrovandosi imbrogliato in un vortice di bugie senza né capo né coda. Con quell’imbarazzo tipico dell’adolescenza, Jack (interpretato da un superbo Francesco Gheghi) affronta un percorso di crescita personale, che lo porterà ad interfacciarsi con la diversità in modo maturo e ragionato.
Subito dopo la proiezione, Stefano Cipani e Lorenzo Sisto si sono trattenuti per alcune domande. Lorenzo ha 11 anni ed è uno straordinario attore esordiente. Educato e dall’entusiasmo travolgente, ricorda con molto affetto le giornate trascorse sul set. La prima domanda, però, è rivolta al regista, per il quale Mio fratello rincorre i dinosauri rappresenta un film d’esordio davvero notevole.
“Hai lavorato con dei mostri sacri del calibro di Alessandro Gassman e Isabella Ragonese. Mettendoli di fianco a Lorenzo e agli altri ragazzi, con chi hai avuto più difficoltà?”
“Con gli attori adulti, sicuramente. Con i ragazzi è più facile lavorare, perché vedono il lavoro come una missione, come una sfida che va oltre il denaro e il tempo. Con il loro aiuto, abbiamo portato a termine un lavoro complicato e importante. Alessandro ed Isabella sono stati però fondamentali per creare un ambiente confortevole per tutti i ragazzi. Hanno dato molto, umanamente, e a livello di cachet si sono accontentati di meno rispetto a quello che prendevano di solito. Diciamo che la storia di Giacomo Mazzariol li ha coinvolti. Sono stati travolti dalla bellezza e dall’autenticità della sua vita e quindi si sono lasciati guidare da me e da Giacomo per realizzare questo progetto”
“Perché la scelta di un argomento così importante e delicato per girare il tuo primo film?”
“È proprio questo il punto. Quando porti avanti una storia è giusto chiedersi: quanto vale questa storia, quanto va oltre il film stesso? Fare un film va sempre oltre il film stesso, diventi molto intimo con le persone che hai intorno. Più la tematica è urgente e importante, vicina alle tue corde, più sai che puoi fare una cosa che lascia il segno. Noi speravamo che questo film lasciasse il segno, nella sua semplicità. Non è un film d’autore, che si prende troppo seriamente, ma non è neanche una commedia stupida. È un ibrido -spero- non scontato, anche perché non è facile mantenere quell’equilibrio tra far sorridere e far commuovere. In generale, è più difficile fare commedie che drammi. Secondo me, in Italia servirebbe rivalorizzare il termine “commedia”, perché fare commedia è difficile. Vanno fatte commedie più serie, più importanti”
“Vuoi raccontarci un aneddoto?”
A questo punto, l’attenzione del regista si sposta su Lorenzo. Stefano Cipani comincia a parlare con lui, ricordando i momenti condivisi sul set.
“Ti ricordi che cosa è successo il primo giorno che abbiamo cominciato a fare le riprese? Tu ti sei…”
“Ammalato”
“Si è ammalato” conferma Cipani. “Quando vai a fare un film è tutto programmato nel dettaglio. Con Lorenzo avevo già fatto delle prove a Roma ed era davvero bravissimo, quindi sono andato sul set molto convinto di quello che poteva fare. Però, il primo giorno di riprese Lorenzo era un po’ preso a male. Tutti mi guardavano storto dicendo “sarà un disastro questo film”, mentre invece -poverino- abbiamo scoperto che si era solo ammalato e aveva 39 di febbre”
Poi torna a rivolgersi al bambino: “Poi però sei tornato una settimana dopo… e hai fatto impazzire tutti!”-
“Giusto!” concorda Lorenzo. E alla domanda: “Quale scena ti è piaciuto di più girare?” risponde senza esitazione: “Quella della sigaretta”
Anche noi abbiamo deciso di rivolgere qualche domanda a Stefano Cipani, chiedendogli di raccontarci qualcosa riguardo alla sua esperienza sul set e ai suoi progetti futuri. Lui si è dimostrato incredibilmente disponibile e ci ha trasportato all’interno dell’opera, dandoci una visione più ampia dei personaggi e del suo ruolo di regista.
Mi ha colpito molto la scena in cui tutti i ragazzi sono sul pulmino e Arianna (la ragazza di cui è innamorato Jack) canta “La cura” di Battiato. Come è stato rivederla sul grande schermo? Immagino che sia diverso, in quanto a impatto emotivo, vedere ciò che puoi rendere con la telecamera.
“Mi fa molto piacere questa domanda perché quella è una scena che ho aggiunto io in sceneggiatura senza il permesso di nessuno. C’è anche un aneddoto divertente legato a quel momento: c’era il furgoncino fermo con tutti i ragazzi dentro e io volevo che ci fosse un momento di riflessione prima che Jack confessasse davanti a tutti. Ciò che volevo rendere era la presenza di Giò, anche se non poteva esserci fisicamente. Jack pensa a suo fratello, in questo nuovo mondo che si è creato, e la canzone è ovviamente diretta a Giò e a Jack. È una scena a cui tengo tantissimo, sia per la canzone che per quello che rappresenta: un furgoncino senza finestre che va e non sai dove va… è un po’ la metafora della gioventù. Quando l’abbiamo girata dovevamo far finta che questo furgoncino si muovesse. Ad un certo punto ho sentito che questo furgoncino si stava muovendo molto più di quanto dovesse, allora mi sono arrabbiato perché era un momento delicato. Ho cominciato a urlare “Chi è che sta rovinando le mie riprese!”… e ho scoperto che era Gassman a spingere il furgone. Lui pensava di farmi un favore, si era messo a spingere affinché la ripresa venisse più realistica. Pensate l’umiltà di questo grande attore! Quando l’assistente alla camera mi ha detto che era Gassman sono sbiancato (ride)”
Jack è il protagonista indiscusso della storia, l’intero racconto è filtrato dal suo sguardo ingenuo e suggestionato dall’adolescenza. Ma attorno a lui gravita una galassia di personaggi diversi. Qual è quello con cui hai empatizzato di più, che ti è piaciuto di più raccontare?
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