Whatsapp. Partita l’inchiesta sulla chat The Shoah Party dai temi controversi. Pedofilia, razzismo, innegiamento al nazismo. Coinvolti minorenni
The Shoah Party. Questo il nome della chat dell’orrore su Whatsapp scoperta dalle forze dell’ordine, frequentata circa da una ventina di ragazzi, quasi tutti minorenni, con un’età compresa tra i 13 e i 17 anni, e nove maggiorenni.
I temi trattati erano controversi, incredibili, al limite dell’orrore: inneggiamenti a Benito Mussolini e Adolf Hitler, plausi verso l’ISIS, frasi vergognose sulla Shoah e sugli ebrei e scambio di materiale pedopornografico.
Quanto conosciamo i nostri figli? E’ possibile fidarsi di lasciar usare dispositivi elettronici senza un efficace e assiduo controllo? Quanto l’accesso ad informazioni senza filtro li può fuorviare?
Sicuramente queste sono solo alcune delle domande che sono passate per la testa del padre di un teenager torinese coinvolto nell’inchiesta. Affranto e addolorato per non essersi mai accorto di nulla, l’uomo ha rilasciato dichiarazioni agghiaccianti in un’intervista rilasciata al quotidiano La Repubblica: “E’ solo un bambino ancora, sa di aver sbagliato e ora si sta pentendo”.
Questo genitore ha avuto un amarissimo risveglio quando i Carabinieri si sono presentati con un mandato di perquisizione alle 5 del mattino a casa sua. L’uomo infatti risultava l’intestatario del numero da cui partivano numerosi messaggi nella chat dell’orrore dal titolo The Shoah Party. Immaginate lo sgomento nell’apprendere che il figlio 14enne fosse uno dei principali amministratori del famigerato gruppo online.
Il padre, nonostante continui a difendere il ragazzo ha aggiunto: “Non appena saputo avrei voluto staccargli la testa. Volevo sapere perché non ci avesse mai detto nulla. Non sospettavamo assolutamente niente di tutto ciò.”
Il ragazzo ha confessato di partecipare alla chat da circa 5 mesi e di non conoscere personalemte nessuno degli altri ragazzi coinvolti.
Continua poi il genitore: “I miei ragazzi sono estremamente educati, non dicono parolacce e non bestemmiano. Lui è solo è un bambino. Non è un razzista, non si prende beffe dei disabili. Ho scelto di non mostrarmi irato, non voglio che perda la sua fiducia.”
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A quanto pare il ragazzo non sembra troppo spaventato dall’intervento delle forze dell’ordine, il rammarico più grande è aver inflitto una delusione ai genitori. Essi sono pronti a porre rimedio, stanno già cercando uno psicologo che possa aiutarli in questo processo di recupero.
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