La pandemia Covid-19 e le pratiche commerciali obsolete hanno contribuito al drammatico crollo del prodotto interno lordo (PIL) giapponese tra aprile e giugno. È crollato del 7,8%, o del 27,8% su base annua, secondo i dati preliminari rilasciati lunedì 17 agosto dal governo. Come quella di altri paesi sviluppati, l’economia giapponese è in “gravi condizioni”, ha riconosciuto il ministro della Rivitalizzazione economica, Yasutoshi Nishimura. Il ministro ha promesso di fare di tutto per “mettere il Giappone sulla via della ripresa”. I consumi delle famiglie sono diminuiti del 7,8% e le esportazioni del 18,5% nel secondo trimestre. In questo contesto, il signor Nishimura vuole sostenere l’occupazione attraverso sussidi e consumi privati. Il calo supera le stime, che prevedono una contrazione del 26,3%. Il PIL giapponese non ha mai subito un tale calo dalle sue prime compilazioni nel 1955. La terza economia mondiale sta andando peggio della Corea del Sud.
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Il Covid smaschera i limiti del Giappone
La crisi ha soprattutto messo in luce i limiti della politica economica promossa dal premier Shinzo Abe, e puntata su tre “frecce”: uno stimolo fiscale, una politica monetaria ultra accomodante e le riforme strutturali. Tuttavia, se le prime due frecce sono state lanciate, la terza è rimasta nella faretra. Tant’è che il Giappone ha vissuto, tra la fine del 2012 e l’ottobre 2018, settantuno mesi di espansione, senza davvero correggere i mali strutturali di cui soffriva. Il governo, come molte aziende, non ha quindi effettuato il passaggio al digitale che avrebbe potuto contribuire a creare il circolo virtuoso del consumo sostenuto che alimenta la crescita.
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La pandemia ha rivelato pratiche datate che hanno rallentato, se non addirittura complicato, le loro procedure. Ciò è dimostrato dall’uso del sigillo per convalidare l’arrivo e la partenza dell’ufficio, nonché per “firmare” un documento ufficiale.
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