Una donna potrebbe aver sconfitto l’hiv senza nessun trattamento medico. É successo in America: la 66enne è un caso eccezionale che dà speranza alla ricerca.
Dall’hiv non si guarisce. Ormai il virus, dopo anni di studi e ricerche, non è più letale: chi ne è affetto riesce a conviverci, sottoponendosi a dei trattamenti che lo accompagneranno, ahimè, per tutta la vita.
Eppure una speranza c’è. Direttamente dagli Stati Uniti arriva una notizia che ha dell’incredibile: una donna di 66 anni da decenni non avrebbe più tracce di hiv rilevabili nel proprio organismo, senza aver preso farmaci o essersi sottoposta a trattamenti.
A dirlo è un gruppo di ricercatori sulla rivista Nature, citando il caso all’interno di uno studio più grande su gli elite controllers. Si tratta di persone sieropositive il cui sistema immunitario riesce da solo a controllare l’hiv.
Certo, si parla di una minoranza, pari allo 0.5% dei milioni di sieropositivi che, al contrario, devono ricorrere a terapie antiretrovirali per combattere l’hiv.
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Una speranza per tutti
Ma la loro esistenza regala una speranza a malati e ricercatori. Negli elite controllers i geni del virus sono relegati all’interno di porzioni del genoma cellulare silenziate, annullando la possibilità del virus di replicarsi. Dunque, potrebbero essere responsabili di una cura funzionale anche in altre categorie di pazienti (circa 37 milioni in tutto il mondo).
Ma la paziente 66enne è ancor più sorprendente. La donna, che sembra essere guarita spontaneamente dall’hiv, vive in California e ha contratto il virus nel 1992. Tuttavia, è da anni ormai che non se ne trova traccia nei suoi esami.
Per cercare di spiegare la scomparsa del virus dall’organismo della donna, Chenyang Jiang e i suoi colleghi hanno raccolto e analizzato più di un milione di cellule della paziente, alla ricerca dei provirus, ovvero di geni dell’hiv integrati nel genoma dell’ospite, ma non hanno trovato nessuna copia funzionale. Per questo gli esperti parlano dell’unico caso al mondo di guarigione dall’hiv senza l’aiuto di farmaci.
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La scoperta, oltre ad avere un alto valore scientifico, è una speranza per tutti. Infatti, verrà ripensato in modo in cui vengono valutati i serbatoi d’infezione: non solo la quantità ma anche la qualità (integrità e siti d’integrazione) dei provirus.
Resta da capire se una situazione simile a quella degli elite controllers possa essere replicata nei pazienti che non controllano spontaneamente l’infezione. Ci sono diverse opzioni. É possibile che, dopo anni di terapie antiretrovirali, le cellule infettate si selezionino, così da rendere inutile l’assunzione di farmaci. Oppure, sarà necessario concentrarsi su nuove terapie che, oltre a impedire al virus di replicarsi, potenziano la risposta immunitaria dei pazienti.
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