Giovanni Muciaccia. Il celebre conduttore televisivo si racconta in un’intervista a YesLife Magazine. Le sue scelte, i successi, il futuro
La redazione di YesLife Magazine ha raggiunto telefonicamente Giovanni Muciaccia, celebre personaggio televisivo, fiore all’occhiello tra le fila dei presentatori Rai più amati del piccolo schermo. Abbiamo ripercorso insieme a lui tappe fondamentali della sua carriera: dalla gavetta al successo grazie al programma Art Attack, fino alla popolarità consolidata con numerose trasmissioni di divulgazione culturale.
Quando è scoppiata la quarantena mi sono trovato nell’occhio del ciclone. Ero a Milano proprio nel momento in cui iniziavano a diffondersi le prime notizie di una probabile chiusura (che poi c’è stata, come tutti sappiamo). Dovevo essere ospite della trasmissione Detto Fatto di Bianca Guaccero e rilanciare il mio programma, La Porta Segreta. Rinunciai ad andare perché il mio medico di base mi disse di tornare immediatamente a Roma.
Stiamo parlando di un periodo in cui ancora non si conoscevano tutte le informazioni di cui siamo al corrente adesso. Sono stato molto previdente e fortunato. Dovevo essere in trasmissione alle 14 ma io presi il treno a mezzogiorno. Scelsi di non andare. Ho disdetto la mia partecipazione spiegando ciò che il medico mi aveva comunicato. Due settimane dopo la trasmissione venne chiusa perché trovarono positiva una truccatrice; probabilmente quella persona avrebbe dovuto truccare anche me. Quando sono tornato a casa ho fatto 15 giorni di quarantena, lontano dalla famiglia.
Ho lavorato parecchio durante il lockdown, forse più del solito. E’ scoppiata la moda delle dirette. Ho fatto dei video sul mio canale, anche sullo stile di Art Attack. Per tanti è stato un periodo duro, per me non particolarmente. Sono abituato a passare molto tempo a casa. Studio e mi documento di routine.
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Ho iniziato studiando nelle scuole di teatro. Da queste stesse scuole mi hanno chiamato per fare dei provini in Rai. Quando dovevano trovare nuovi personaggi da lanciare, era lì che si cercava: nelle scuole di teatro, appunto, o nelle agenzie di spettacolo. Ho fatto un provino in Via Teulada e ne sono seguiti diversi nel tempo. All’inizio ho condotto Disney Club e La Banda dello Zecchino. Gli anni della formazione sono stati molto belli.
Ero giovanissimo. Ho fatto esperienze importanti. Ho studiato all’Accademia d’Arte Drammatica in Calabria: 30 attori intorno ai vent’anni. Abbiamo vissuto per quattro mesi e mezzo in un albergo, d’inverno. C’eravamo solo noi. Vivevamo di recitazione. La mattina si facevano i corsi, pranzavamo insieme e il pomeriggio di nuovo a studiare. Molti venivano dalla formazione di Gassman o di Proietti, dall’Accademia di Arte Drammatica di Roma… Tutto è stato coronato poi da una tournée. Mi sono formato attraverso il teatro perché all’epoca la strada era quella.
Io penso che la formazione fatta bene plasmi dei professionisti e che questo, alla lunga, paghi. Diventare famosi in poco tempo lascia il tempo che trova. Molti che si cimentano nei reality poi ritornano a fare quello che facevano prima. Se non si hanno capacità il pubblico se ne accorge. Pensiamo alla prima edizione del Grande Fratello, molti hanno intrapreso altre carriere. E’ una popolarità un po’ fasulla. A meno che, spinti da una notorietà arrivata così velocemente, queste persone non si specializzino in un secondo momento, coltivino un eventuale talento che non è detto che non abbiano. Quindi fai il salto e diventi un professionista.
La popolarità è una cosa di carta velina che si brucia con rapidità; puoi mantenerla e renderla solida se l’affini, se la cospargi di colla vinilica e la fai indurire (ride). Può essere che duri un po’ di più se la proteggi. Questo però è un mondo in rapido cambiamento. Adesso ci sono i social come nuovo trampolino di lancio. Da un lato è un fatto positivo: è bello che chiunque possa accendere una telecamera e diventare popolare. Bisogna però vedere in che forma. Il pubblico si divide così in tante fasce. Ognuno sceglie in base al proprio modo di essere. Questo ci dà anche il senso di quello che è la nostra società e di come sta cambiando.
Sul fatto che funzionerebbe io non ho dubbi. Ancora oggi seguitano a chiedermi contenuti simili che io continuo a diffondere sul web. Fanno tantissime visualizzazioni. Ho realizzato recentemente una serie di video su queste tematiche che sono stati acquistati da un centro commerciale in Sicilia. Erano contentissimi per le views registrate. Da 20 anni faccio spettacoli che hanno come topic principale questo format, che si basa sulla manualità. L’ho portato nelle grandi piazze, nelle arene, nei teatri e nei centri commerciali.
Le mie dirette su Facebook a riguardo durante il lockdown sono andate benissimo. Quindi assolutamente si, sono convinto che continuerebbe a funzionare, soprattutto perché ci troviamo in Italia. Siamo geneticamente un popolo di artisti. Siamo ricettivi per quanto concerne arte e creatività. Deteniamo il 70% del patrimonio artistico mondiale, il restante 30% è distribuito globalmente. In termini di audience, l’Italia è diventata capofila riguardo Art Attack, è stato un successo mediatico. Il test del magazine della trasmissione venne realizzato qui da noi.
Il problema è che Art Attack è molto complesso dal punto di vista produttivo. C’erano circa 20/25 persone che hanno studiato all’Accademia di Belle Arti, le quali lavoravano all’ideazione e alla realizzazione di quei prodotti che poi vedevate in televisione. Ecco perché Disney decise di girarlo in un unico paese, in un unico studio (prima a Londra per 7 anni, poi a Buenos Aires per 5 anni): per abbattere i costi di produzione. E’ un programma che puoi fare solo se viene distribuito in tutto il mondo per la complessità produttiva che comporta.
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Il programma è nato nel 1990 e andava in onda inizialmente sulla BBC da un’idea di Neil Buchanan e Tim Edmunds. Lo hanno portato avanti per 8 anni. Lo notò la Disney e si decise di avviare una coproduzione, strutturando la trasmissione così come poi è stata realizzata anche da noi, uguale per quattro paesi: Italia, Spagna, Francia e Germania. Nel 1998 scelsero i presentatori. Io fui scelto per la versione italiana. Abbiamo fatto un test per un anno, il programma andò bene. Nel secondo anno così si aggiunsero altri paesi. Dopo 3 / 4 anni, la trasmissione andava in onda in 32 nazioni. Nel 2005 venne chiuso. Venne ripreso nel 2010 e lo realizzarono in un’altra struttura in Argentina. Si andò avanti per altri quattro anni. E’ un sogno inglese.
L’ho raccontato diverse volte ma lo ricordo sempre con simpatia. La prima volta che mi ha fatto l’imitazione mi ha chiamato al telefono ed io non l’ho riconosciuto. Ero all’interno di un museo, mi sono vergognato perché non avevo ricordato di spegnere la suoneria del mio cellulare. Ero a Londra in quel periodo, stavo girando Art Attack. Poi lui l’ha riproposta in radio e successivamente in televisione. Avere Fiorello che ti imita in prima serata, di fronte a milioni di persone, è stata un’ emozione straordinaria. Per me poi all’epoca fu una grande pubblicità. Ha permesso di farmi conoscere ad un pubblico più adulto. Fu un tributo che non mi aspettavo. Lui ne ha imitati tanti di personaggi però le caricature più ricordate sono quelle di La Russa, il Califfo, Camilleri e Giovanni Muciaccia… Fortunatamente rientro in quella rosa. Sono diventato un tormentone. So che Fiorello guardava il programma ma non so se ha mai provato a replicare uno dei lavori. Glielo devo chiedere.
Al di là del pubblico, quello che a me interessa è fare programmi di divulgazione. Lo facevo anche con Art Attack. Con Sereno Variabile mi interfacciavo con un pubblico di over 65 a cui mostravo le bellezze d’Italia, strizzando l’occhio alle tradizioni dei luoghi che andavamo a visitare. Ho cercato di dare una mia impronta, è un programma che da 40 anni è stato portato avanti dalla stessa persona e aveva un tipo di narrazione differente rispetto a ciò che avevo realizzato prima. Non era facile essere accettato come volto nuovo da quel pubblico. Il vero salto è stato lì. Sono passato dai ragazzini agli adulti.
ll pubblico che mi segue adesso ha in media un’età massima di 32 anni e minima di 12. I più grandi sono quindi uomini e donne che sono cresciuti con Art Attack. La Porta Segreta viene seguito da un pubblico di mezza età invece ( 40 / 50 anni). Sono maggiormente focalizzato sulla tipologia di programma.
Con una community social, TML, sto facendo dei video ispirati anche ai fatti politici o sociali del nostro paese. Abbiamo realizzato ironicamente, per esempio, una mascherina con la scritta “Non ce n’è coviddi”, traendo spunto dal meme che sta spopolando ultimamente: è un ossimoro collegare quest’oggetto a una frase che nega la presenza del virus.
No. Ho fatto delle scelte molto mirate. Ho detto tanti ‘no’ nella mia carriera. Ti assicuro che è più difficile che dire ‘si’. La gente non viene a conoscenza di ciò che hai rifiutato, ovviamente. Per esempio ho detto ‘no’ a tanti reality. Sinceramente sono felicissimo della mia carriera. Anzi, mi sta capitando una cosa che non avrei mai immaginato in passato. Tutti i bambini che mi seguivano 20 anni fa, adesso sono uomini e donne adulti; anche io sono andato avanti e la distanza che avevo con loro, in un certo senso, si è assottigliata. Sono avvolto da un mare di affetto da parte di tutti loro, mi portano nel cuore perché in un certo senso “li ho cresciuti”. Molti mi dicono: “Ti ringrazio per l’infanzia che mi hai regalato.” Tante persone che non si conoscono tra loro ma sono unite dallo stesso sentimento nei miei confronti. Stupendo.
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Dovrei ricominciare con il programma Non è mai troppo tardi… Fatto? Tratta temi di alfabetizzazione digitale. Aiutiamo le persone in età avanzata a capire concetti che ai più giovani sembrano semplicissimi, anche se delle piccole dritte sono indirizzate anche a loro. La trasmissione è andata in onda su RayPlay e in uno spazio all’interno di Detto Fatto.
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