Spaventata dalla possibilità di essere licenziata dal suo datore di lavoro, avrebbe per un anno versato nel cappuccino di una collega degli ansiolitici al fine di prendere il suo posto.
Perdere il lavoro in un momento precario come quello attuale rappresenta una delle più grandi paure degli italiani. Un timore che in una donna si sarebbe concretato in un atto criminoso, ai danni di una collega. In provincia di Cuneo, a Bra, una dipendente di un’agenzia assicurativa, avendo recepito una voce che parlava di tagli al personale, per un anno avrebbe “avvelenato” con degli ansiolitici una sua collega. Nei suoi piani ci sarebbe stata l’idea di boicottarla e prendere così il suo posto.
La donna è stata condannata in primo grado a 4 anni di reclusione. I suoi legali hanno già preannunciato che presenteranno appello.
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Una vicenda che ha dell’incredibile quella che si sarebbe registrata all’interno di un’agenzia assicurativa di Bra, in provincia di Cuneo. Secondo quanto riportato dalla redazione de La Stampa, una donna sarebbe stata condannata a 4 anni di reclusione in primo grado per aver somministrato di nascosto degli ansiolitici ad una sua collega. Secondo la ricostruzione operata dagli organi competenti, la donna, per paura di perdere il posto di lavoro, stante un possibile taglio al personale, avrebbe somministrato alla persona offesa il potente farmaco, al fine di “boicottarla” e così ottenere il suo impiego. Per porre in essere il suo presunto piano, la donna avrebbe sfruttato la pausa caffè versando nella tazza della collega della benzodiazepine.
I fatti risalirebbero al 2017 e si sarebbero protratti sino al giugno del 2018. La donna condannata in primo grado, non quindi in via definitiva, era stata incaricata di ritirare dal bar tutte le colazioni dei colleghi. Sarebbe stato in quei frangenti che avrebbe provveduto a versare l’ansiolitico nel cappuccino della collega. Quest’ultima avrebbe iniziato ad avvertire un forte malessere che l’avrebbe condotta a trascorrere dei periodi di riposo e ad effettuare visite di accertamento specifiche. Accusava sonnolenza, riflessi rallentati che però si sarebbe accorta diminuivano quando non si trovava sul posto di lavoro. Questa circostanza avrebbe fatto sorgere in lei dei dubbi in merito al fatto che qualcosa in ufficio potesse intaccare il suo stato di salute. Da lì la decisione di rivolgersi alle Forze dell’ordine che avrebbero condotto le indagini da cui sarebbe emersa quella che ad oggi è la verità processuale.
I Carabinieri avrebbero scoperto, infatti, riporta La Stampa, cosa accadeva nel tragitto tra il bar e l’ufficio ossia che la donna versava qualcosa nella tazza.
Le prove raccolte sono stati un filmato in cui pare si vedesse l’imputata proprio nell’atto criminoso a lei imputato, ma la più schiacciante sarebbe stata l’analisi di un campione di cappuccino che la collega avrebbe fatto sottoporre ad analisi sospettando che fosse proprio la bevanda a causarle quel persistente malessere.
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La donna condannata non in via definitiva, ma solo in primo grado, si professa innocente e si dice stupita della sentenza. Come anche i suoi avvocati i quali hanno già preannunciato che proporranno appello.
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