Intervista esclusiva a Camilla Filippi, attrice e scrittrice. Ha pubblicato da poco il suo primo libro “La sorella sbagliata”
Camilla Filippi è un’attrice italiana. Ha iniziato la sua carriera verso la fine degli anni ’90, molto impegnata sia al cinema che a teatro. Molto determinata in questo ultimo periodo ha deciso di mettersi in gioco con una nuova esperienza: la scrittura.
Circa un mese fa ha pubblicato il suo primo libro “La sorella sbagliata” e noi curiosi le abbiamo fatto qualche domanda al riguardo.
TI POTREBBE INTERESSARE ANCHE>>>Intervista a Serena De Ferrari: “Tutto quello che emoziona è arte”
In questo ultimo periodo hai pubblicato un libro, cosa ci racconti al riguardo?
Questo libro si chiama “La sorella sbagliata” ed è la storia di due sorelle: Luciana e Giovanna, che è spastica, e nel 1978 attraversano L’Italia insieme al cane paraplegico di Giovanna, a un tale che si chiama Ivan L’Indiano, appassionato dell’India ma che in India non c’è mai stato, e a un’avvocatessa trans sessuale di nome Rosi.
Com’è nata l’idea di questa storia?
Avevo voglia di indagare il senso di colpa, di indagare il rapporto di sorellanza. Ma in generale tutti i rapporti sono uguali. Poi ho deciso di parlare di donne perché sono una donna e so di cosa stiamo parlando. Indagare la difficoltà di essere fratelli, l’ho fatto scegliendo una differenza tra le due sorelle molto palese. Appunto Giovanna è spastica, vuol dire che ha un problema motorio ma che intellettualmente è al pari di tutte le persone se non più intelligenti di molte. E’ molto difficile stare dentro un rapporto di sorellanza, c’è sempre quella più bella, più intelligente quella che a lavoro ce la fa. E’ un equilibrio che spesso è molto precario, soprattutto negli anni dello sviluppo. Insomma erano tematiche che mi interessavano e mi interessava il concetto di diverso, perché io penso che diverso sia lo sguardo delle persone su di te. Non è che tu sei diverso, il problema è degli altri che non hanno la capacità di guardare oltre la loro punta del naso, di andare oltre il primo impatto. Ci sono troppe sovrastrutture.
A quale target di pubblico si rivolge il libro?
Lo puoi leggere dalla medie fino alla fine della vita. Ho deciso di raccontare tutto con molta onestà e ironia, è un viaggio tragicomico che offre appunto uno sguardo diverso sulle cose e sui fatti che accadono.
Passiamo alla recitazione, com’è nata questa passione?
Io da piccola facevo una scuola media pubblica sperimentale e andavamo anche il pomeriggio e facevamo tre materie che erano teatro, educazione all’immagine e informatica. Mi è stato proposto il teatro come materia di studio, come cosa reale che poteva diventare un lavoro. Ho sempre sentito la necessità di essere qualcosa di diverso da quello che ero io, questa necessità unita a quello che ho fatto a scuola mi ha fatto capire che avrei voluto fare l’attrice, cioè proprio un’esigenza.
Teatro e cinema, cosa preferisci?
Partiamo dal presupposto che io non faccio una differenziazione, cioè uno recita. Che poi tu lo faccia sul piccolo schermo o a teatro non cambia niente, nel senso l’atto di recitare è quello, cambia soltanto il luogo. Recitare significa trasmettere emozioni a prescindere dal luogo in cui lo fai, ogni luogo è bello a suo modo. Il video mi fa più paura rispetto al teatro, nel senso che il teatro è molto difficile ma diciamo che se una sera va male ti avranno visto duecento persone. Diciamo che quando fai un’interpretazione sbagliata in video e ti vedono quattro milioni di persone quello è un po’ più complicato da reggere psicologicamente.
Una delle tue esperienze preferite?
Sempre l’ultima no? Ho finito questa estate di girare un film con Guido Cabrino e Edoardo Pesce che si chiama “La stanza” ed è un thriller psicologico. E devo dire che è stata un’esperienza emotivamente pesante però anche molto divertente perché ho fatto delle scene che quando ero piccola e guardavo i film dicevo: “Oddio vorrei fare anche io quella cosa lì” e finalmente l’ho fatta.
Progetti futuri?
Per ora di set niente, mi sono messa a scrivere la scaletta del secondo libro.
Quindi la carriera della scrittrice sarà parallela a quella della recitazione?
Si perché voglio scrivere e ho delle storie che vorrei raccontare. Io penso che non è perché una persona sceglie una strada nella vita deve per forza fare solo quella. Uno può svoltare, fare una passeggiata in un’altra via e poi rientrare su quella che aveva scelto, oppure svoltare prendere un’altra strada e rendersi conto che quella è migliore. Trovo proprio sbagliato come atteggiamento di vita precludersi di qualcosa, bisogna lasciarsi sorprendere dalla vita e da noi stessi perché troppo spesso ci facciamo un’idea di noi e ci limitiamo per primi e invece non dovremmo farlo.
Com’è nata l’idea di scrivere un libro?
Avevo voglia di raccontare qualcosa. A quel punto mi sono venuti in mente dei personaggi e ho pensato che scrivere un libro mi desse più la libertà nell’indagare la vita di questi personaggi. Un film dura 90 minuti però è limitato l’arco, mentre un libro ti dà la possibilità di andare dove vuoi senza darti delle limitazioni esterne. E quindi pensavo che fosse il luogo giusto dove posare la mia storia e così ho iniziato a farlo. Trovo che in qualche modo scrivere e recitare non siano distanti per questo libro. Questo libro è fatto di personaggi e io nella vita ho sempre interpretato personaggi, mi sento abbastanza forte sulla capacità analitica di un personaggio. Ho avuto lo stesso approccio di quando recito cioè a ogni personaggio ho dato vita, un passato, un futuro, dei dolori, delle gioie e dei ricordi. E a quel punto avevo dei personaggi reali tridimensionali e li ho fatti vivere.
In un futuro questo libro potrebbe diventare un film?
Mi piacerebbe. Non mi piacerebbe fare la regia. Ho provato a girare un cortometraggio ma non mi piace. Però mi piacerebbe molto che il mio libro potesse vivere con gli occhi di qualcun altro e trasformarsi in un film. Diventerebbe il mio libro e un pezzettino in più che è il qualcosa che porta il regista che verrebbe a girarlo. Trovo che il fatto che i processi artistici vengano lasciati in mano a qualcun altro che li trasformi a sua volta sia veramente una cosa poetica.
TI POTREBBE INTERESSARE ANCHE>>>Intervista a Stefania Petyx, la prima inviata donna di Striscia la Notizia
Quindi per te che cos’è l’arte?
Qualsiasi espressione di un sentimento è arte. Van Gogh diceva che la vera arte era amare gli altri. Secondo me qualsiasi espressione di qualsiasi sentimento è una forma d’arte dal momento che non ti metti dei limiti.
BEATRICE MANOCCHIO
Se vuoi essere sempre informato in tempo reale, seguici anche su sulle nostre pagine Facebook, Instagram e Twitter