Muore suicida a 35 anni. Una donna inglese si è tolta la vita. Non era riuscita a superare i traumi dopo le sevizie subite dalla madre adottiva
Eunice Spry è una donna di 76 anni. È stata condannata nel 2007 a 14 anni di reclusione e al pagamento di 80.000 sterline per dei reati oltraggiosi e abominevoli che ha commesso su dei minori. Il giudice in carica durante il suo processo, Simon Darwall-Smith, disse: “E’ il caso peggiore nei miei 40 anni di pratica legale”. Su di lei 26 accuse di abusi nei confronti di bambini che si trovavano sotto il suo affidamento. La sua condanna è stata ridotta in appello ed è libera dal 2014.
Tra le azioni spregevoli compiute sono emerse vere e proprie torture su tre ragazzini (due affidatari, uno adottato) come: mangiare i propri escrementi e vomitare, infilare bastoni lungo la loro gola, strofinare i loro volti con carta vetrata, rinchiuderli nudi in una stanza per un mese. Ad uno di loro ha ordinato di stare sulla sedia a rotelle per 4 anni nonostante fosse capace di camminare, in modo che potesse prendere sovvenzioni statali.
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Muore suicida a 35 anni. Non aveva superato il trauma dovuto a sevizie e torture
Tutti e tre, una volta cresciuti, hanno raccontato l’incubo vissuto in differenti libri autobiografici. Christopher Spry, soprannominato “Child C”, ha pubblicato un libro con lo stesso nome che gli venne affibbiato da piccolo. Alloma Gilbert ha scritto Deliver Me From Evil. Victoria Spry ha pubblicato Tortured nell’aprile 2015.
Quest’ultima, seviziata da Eunice Spry per oltre 20 anni, ha parlato delle sue esperienze nel tentativo di aiutare persone che abbiano affrontato lo stesso tipo di tormento. Ha anche lavorato a fianco dei servizi sociali nel Gloucestershire per prevenire il ripetersi di casi così tragici. Tuttavia, il dolore è stato talmente grande e radicato dentro di lei da non farcela, si è suicidata all’età di 35 anni.
E’ stata trovata priva di vita nell’appartamento che divideva con il suo fidanzato.
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Uno dei suoi fratelli adottivi ha raccontato che Victoria ci teneva ad essere ricordata non per i traumi subiti ma per il lavoro svolto in aiuto degli altri. Non nutriva rabbia verso un sistema che non l’ha protetta, anzi è entrata a farne parte affinché il suo caso fosse una rarità, un’anomalia e non la norma. Di se stessa aveva detto: “È davvero bello andare nello stesso ufficio in cui sono stata delusa da piccola, ed entraci adesso come giovane donna che aiuta altri bambini”.
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