Vasco Rossi a Cesare Cremonini: “Sono un sopravvissuto. Alle Br, alla droga, alla depressione e al coma, ma ho speranza”
Cesare Cremonini, proprio il noto cantautore, è il direttore artistico, del numero odierno di Vanity Fair. A Cesare è venuto in mente di fare domande e stimolare un altro numero uno della canzone italiana, Vasco Rossi. Una mail con la quale l’autore bolognese invita “Il Blasco” a riflettere sulla situazione attuale del mondo e alle difficoltà legate all’emergenza sanitaria. “Se non sono un sopravvissuto io… io sono un… Super Vissuto!”, ha esclamato Vasco di getto. Cremonini nei panni del direttore gli chiede una lettera sulla sopravvivenza e il cantautore di Zocca non si tira indietro. “È veramente un brutto periodo. Per tutti. Una catastrofe planetaria che nessuno avrebbe potuto immaginare, sarebbe stato peggio solo… se ci avesse colpiti un meteorite!. Niente live, niente stadi, niente fan sotto il palco… Nessun sistema sanitario può reggere a lungo in una emergenza del genere… E noi? Dovremo ancora stare chiusi in casa… E… Per noi che abbiamo bisogno di urlare, di cantare, di “assembrarci”… è ancora molto lontana la possibilità di fare concerti… Ma sopravviveremo anche a questo…”.
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Vasco trova coraggio nel suo vissuto, nel passato che non è stato solo successi e carriera, milioni di dischi e di incassi. Vasco ne ha passate tante e decide di fare una carrellata, senza troppo pudore, come il personaggio che lo contraddistingue, come il suo essere Vasco. “Sono sopravvissuto alla “noia”. Vivendo a Zocca sapevo che da lì bisognava partire perché se sei in pensione ci stai benissimo, ma a 20 anni non c’è niente da fare“. E allora ecco che passa il «treno» di Punto Radio che «fondai con il mio gruppo di amici storici”. Poi va oltre la sfera personale e ricorda gli scenari nazionali che hanno segnato il paese e che non potevano scivolargli addosso: “Sono sopravvissuto agli anni ’70. Quando c’erano gli anni di piombo, le Brigate rosse, Lotta Continua e Potere Operaio”. Vasco ha vissuto quegli anni senza farsi trascinare dalle ideologie, si sentiva un «indiano metropolitano» un «uomo anarchico» e gli «sembravano dei matti quelli che si chiamavano “potere operaio” ed erano studenti, come gli altri che si chiamavano “lotta continua”, e poi al pomeriggio tornavano tutti a casa, dai genitori…
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Poi un balzo agli anni ’80, quelli del successo ma anche dei vizi, della droga: “Quelli più stupidi del secolo, ma anche i più belli e divertenti, con canzoni che erano sberleffi e provocazioni contro i perbenisti, i moralisti, i furbetti. Sono sopravvissuto alla droga e agli eccessi di quegli anni. Ne ho combinate di cazzate, Ma le ho anche pagate tutte”.
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