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Casi

Il Mostro di Firenze: orrori e misteri mai risolti, la storia

Una serie di omicidi avvenuti fra il 1968 e il 1984 sconvolge Firenze. Quello che conosciamo come “Il mostro di Firenze”. Ecco la sua storia.

(Artie_Navarre da Pixabay)

Gli anni di piombo sono ormai finiti. Al governo c’è Bettino Craxi e a capo degli Stati Uniti, Ronald Reagan. A Firenze però c’è qualcos’altro che regna sovrano. La paura. La paura di un genitore per un figlio. La paura di un figlio per l’ignoto. La paura collettiva della morte. Fino a qualche tempo prima, quasi ci si doveva prenotare per imboscarsi in macchina nei parcheggi, nelle campagne, nei luoghi più isolati. Coppie di adolescenti ma anche adulti, magari vittime di un amore clandestino, o magari no. Non è importante. Nessuno dovrebbe chiedere il permesso per questo. Nessuno dovrebbe non sentirsi al sicuro. Nessuno, o quasi.

21 agosto 1968. In uno spiazzo vicino un cimitero vengono ritrovati i corpi freddi e immobili di un uomo e una donna. Sono morti. Quattro colpi di pistola ciascuno, sparati a distanza ravvicinata. Sul sedile posteriore, al momento dell’omicidio, dormiva un bambino. L’assassino lo ha preso in braccio, gli ha cantato la canzone Tramontana di Antoin, forse per tranquillizzarlo, e poi lo ha portato in paese e lasciato davanti la porta di una casa.

Come da regolamento, il primo sospettato è sempre il coniuge della vittima. In questo caso, il marito della donna. Si pensa ad un delitto passionale. Il movente sarebbero stati i ripetuti tradimenti da parte della donna. Viene così condannato a 16 anni di reclusione.

Sei anni dopo, 14 settembre 1974, è buio, ha appena piovuto e nel cielo sopra a Borgo San Lorenzo, a circa 50 km da Firenze, c’è una splendida luna piena. In una radura vicino al fiume Sieve c’è un classico posto adatto alle coppiette bisognose di privacy. Le Fontanelle si chiama. Questa sera, è la volta di una Fiat 127 con dentro Pasquale, 19 anni e Stefania, 18. Morti. Pasquale è stato ucciso con 5 colpi di arma da fuoco. Mentre Stefania, è stata colpita da 3 colpi di pistola ma la causa della morte sembrerebbe essere dovuta a varie coltellate al petto. Una volta morta, l’assassino le si è accanito contro pugnalandola con foga, rabbia e una ferocia indescrivibile, quasi come ci fosse un movente personale. Novantasei coltellate. E del colpevole, nessuna traccia.

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Parco di notte (Foto di Sveva Lodi)

Sette anni dopo, 6 giugno 1981. È sabato sera. Vicino a Scandicci c’è una radura, ed ecco parcheggiata una Fiat Ritmo con dentro Giovanni, 30 anni e Carmela, 21. Morti. Il ragazzo viene ritrovato dentro l’auto con 7 colpi di pistola nel corpo e una pugnalata alla gola. Carmela invece, viene trovata in un fossato, vestita ma con i jeans tagliati. Quello che si trovano davanti i poliziotti è quasi difficile riuscirlo a considerare un atto umano. La ragazza, aveva il pube asportato, completamente. Come nel caso precedente, si può subito notare una violenza immane nei confronti delle vittime femminili. Una violenza rancorosa, impetuosa, una violenza che richiama violenza. Una di quelle cose che si pensa accadano solo in America, perché solo nei film americani le vediamo. Da noi no, perché qui-certe-cose-non-succedono. Eppure, sono successe.

Dopo soli 4 mesi, il 23 ottobre 1981 in una località chiamata Le Bartoline c’è una golf nera. Al suo interno, nessuno. Il finestrino del guidatore sfondato. Fuori dall’auto, ecco i corpi di due giovani ragazzi; Stefano, 26 anni, la schiena squarciata dalle coltellate e 4 proiettili nel corpo, e poi c’è Susanna, 24  anni, uccisa da 5 colpi di pistola e 2 coltellate. Sulla ragazza si hanno ormai aspettative diverse. E infatti, anche a lei, come per la vittima precedente, è stato completamente asportato il pube.

Non c’è più alcun dubbio ormai. Tutto questo ha un nome, un nome che in Italia non siamo abituati a sentire, un nome che all’epoca non si era quasi mai sentito prima: Serial Killer. Un nome con cui la criminologia italiana, la stampa e l’opinione pubblica di quegli anni, hanno familiarizzato poco, troppo poco.

Passano ancora 7 mesi, è il 19 giugno 1982. Sulla provinciale a sud di Firenze c’è uno slargo coperto dalla vegetazione. La macchina, una Seat 147, si trova poco più indietro, inclinata e con le ruote posteriori dentro un fosso. Questo può essere spiegato dal fatto che Paolo, 22 anni, in compagnia di Antonella, 19, stava mettendo in marcia quando viene colpito da un proiettile alla spalla. A quel punto, in preda al panico e nella fretta di scappare è finito nel fosso. Due colpi sui fari e 7 sui ragazzi. Stranamente, nessun tipo di mutilazione questa volta. Forse, l’auto era troppo in vista sulla strada e l’assassino, fortunatamente, non ne ha avuto il tempo.

Un anno e 3 mesi dopo, il 9 settembre 1983, nei pressi di Scandicci, in una radura, questa volta non c’è una macchina, ma un furgoncino Volkswagen con dentro due ragazzi; due turisti tedeschi entrambi di 24 anni. Entrambi morti. Sono stati colpiti da 7 colpi di pistola dai finestrini laterali. Questa volta però, c’è qualcosa di diverso. Qualcosa che non fa quadrare i conti. Perché i due turisti tedeschi sono due maschi. Uno dei due però ha dei lunghi capelli biondi. L’assassino dev’essersi sbagliato.

Passano altri 10 mesi, è il 30 luglio 1984, ed ecco che al Boschetto di Vicchio, a nord di Firenze, c’è una Fiat Panda celeste alla fine di una strada sterrata. Dentro, Claudio, 21 anni, ucciso da un colpo alla testa, uno al petto e 10 coltellate. Fuori dall’auto, a una decina di metri di distanza e stesa sull’erba c’è Pia, 19 anni con un colpo di pistola alla schiena, uno in faccia e due coltellate alla gola. Questa volta l’omicida non si è sbagliato. Alla ragazza, viene asportato il pube e il seno sinistro. Da cosa derivi tanta ferocia animalesca nei confronti delle donne ancora non è chiaro. Ma quello che ormai è evidente è che una figura femminile abbia avuto un ruolo determinante nella storia dell’assassino.

La toscana, offesa e stizzita, si ricopre di volantini ritraenti un grande occhio. Il messaggio è chiaro: occhio ragazzi, il mostro vi guarda. La pazienza è arrivata al limite e le forze dell’ordine non riescono ad ottenere risposte. È così che nel 1984 nasce la S.A.M (Squadra Anti-Mostro); un gruppo di investigatori che si occupi solamente di questo caso specifico. A capo c’è Roberto Perugini, formatosi a Quantico in Virginia, dove ha sede l’FBI. Solo allora si pensa di affidarsi ad un esperto che possa stilare un profilo psicologico del mostro. Un cosiddetto “profiler“.

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Il mostro di Firenze, chi è davvero?

(Andrea Spallanzani da Pixabay)

È l’8 settembre 1985. In una radura vicino San Casciano vi è parcheggiata una Golf con targa francese. Dentro non c’è nessuno. In un fossato più avanti c’è il corpo di Jean-Michel, 25 anni, ucciso a colpi di pistola e coltellate. Nadine, 36 anni, è in una tenda da campeggio. Sul suo corpo, 3 colpi di pistola alla testa e svariate coltellate. Anche a lei, come alle altre vittime femminili, è stato asportato il pube e il seno sinistro. In questo omicidio, a differenza degli altri, c’è un elemento inaspettato. Un elemento che prima non era mai esistito. Alla procura di Firenze arriva una busta, con l’indirizzo composto da lettere ritagliate dai giornali. La busta è per Silvia della Monica, PM incaricato delle indagini in corso, l’unica donna che si occupa di questo caso. Dentro la busta, un pezzo del seno di Nadine.

Dopo quel giorno, improvvisamente, così com’era cominciata, finisce. Niente più morti. Niente più mutilazioni. Niente di niente. Ma le indagini continuano. Firenze non si arrende. E dopo varie piste eccone una in particolare che porta ad un nome, ad un uomo; Pietro Pacciani. Il suo nome è saltato fuori grazie ad un profilo stilato sul killer. Nel 1951, quando all’epoca aveva 26 anni, era stato condannato a 13 anni di carcere per aver massacrato con 19 coltellate un uomo sorpreso con la sua fidanzata. La ragazza poi, era stata costretta ad avere rapporti con lui accanto al corpo inerme del suo amante. Inoltre, nel 1986 era stato condannato a 4 anni di reclusione per aver abusato sessualmente delle figlie. Ma la sua più grande sfortuna è stato il ritrovamento di un bossolo perfettamente compatibile con tutti quelli trovati nei luoghi dei delitti, durante una perquisizione. Era sepolto in un vaso portafiori. Viene anche trovato un taccuino tedesco, “Skizzen Brunnen”, compatibile con uno posseduto da uno dei due ragazzi uccisi. E come se non bastasse, viene anche trovata l’asta guidamolla di una pistola calibro 22, la stessa usata in tutti gli omicidi.

1 novembre 1994. Pietro Pacciani viene riconosciuto colpevole e condannato a 14 ergastoli. Due anni dopo, la corte ritira la sentenza. A capo della squadra mobile ora c’è Michele Giuttari, che decide di riesaminare il caso e quindi rivedere tutti gli indizi e le testimonianze che hanno raccolto fin dai primi omicidi. Fra queste, alcune testimonianze in cui si dice di aver visto Pacciani, prima o dopo gli omicidi, vicino alla scena del crimine. Da queste minuziose ricerche emergono altri due nomi: Giancarlo Lotti e Mario Vanni, due amici di Pietro Pacciani. All’improvviso esce allo scoperto un testimone, il quale sostiene di aver visto Vanni e Pacciani uccidere i ragazzi francesi. Poi un’altro testimone. E un’altro ancora. E alla fine, Giancarlo Lotti confessa di aver partecipato insieme ai due amici, all’esecuzione degli omicidi.

Nel marzo del 1998, Vanni viene condannato all’ergastolo, Lotti a 30 anni di reclusione. E Pacciani? Poco prima della sentenza, a febbraio 1998, Pietro Pacciani viene ritrovato morto nel suo casolare dopo che la moglie lo aveva lasciato. La causa del decesso sembrerebbe essere dovuta ad un arresto cardiaco. Proprio prima della sentenza. Curioso.

(ArtTower da Pixabay)

Una storia intricata, complicata che vede come possibili risposte una moltitudine di ipotesi. Ci sono ancora alcune cose poco chiare. Persone coinvolte, come Pietro Pacciani, morte improvvisamente. Il processo si è concluso, ma allora perché si respira ancora aria di mistero? C’è chi crede che tutto sia finito insieme a quel processo, e chi, no. Ci sono molte voci, molti possibili scenari. Ma qual’è la verità? Se ancora ce lo stiamo chiedendo, probabilmente, è perché ha vinto lui.

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