L’Argentina e Napoli piangono la morte di Diego Armando Maradona: la storia del ‘Pibe de Oro’, il calciatore più forte di sempre
E’ morto oggi, all’età di 60 anni, compiuti lo scorso 30 ottobre, stroncato da un arresto cardiocircolatorio. Una notizia inattesa e spiazzante, dopo che il peggio, a seguito dell’intervento al cervello delle scorse settimane, sembrava passato. Ci ha lasciato Diego Armando Maradona, l’ex ‘Pibe de Oro’, il più grande della storia del calcio. E’ una giornata triste per tutti gli appassionati di questo sport, soprattutto nella sua patria natia, l’Argentina, e in quella adottiva dal punto di vista calcistico, Napoli, lì dove ha scritto pagine di vera e propria epica. Il mondo tributa l’ultimo saluto, con innumerevoli contributi sui social network, a una vera e propria leggenda. Unico nel suo genere, mai banale in campo come fuori.
“Se mi trovassi ad un matrimonio, vestito di bianco ed arrivasse un pallone pieno di fango, non esiterei a stopparlo di petto”. Basterebbe questa sua frase a descriverne la genuinità, il talento folle e visionario, la sua indole anticonformista, tale da spingerlo a prendere più volte posizione contro il governo del mondo del calcio e in generale a non astenersi mai dall’esprimere posizioni scomode, anche dal punto di vista politico. Maradona non è stato solo un calciatore, ma molto di più. Incarnando la voglia di rivalsa di due popoli, quello argentino e quello napoletano, trasferendola sul campo e compiendo gesta mai viste prima. Forse, che non si vedranno mai più.
Snocciolare la sua carriera, dagli esordi in patria con l’Argentinos Juniors e Boca Juniors in avanti, potrebbe suonare mero esercizio di stile, sicuramente insufficiente a raccontarne la grandezza. In Europa, l’esordio a Barcellona, due anni segnati da un grave infortunio e da un rapporto conflittuale con la piazza. Quindi la svolta, nell’estate 1984, con l’approdo a Napoli e l’inizio di una storia, un romanzo già nella dinamica del suo acquisto, rocambolesco a dir poco. Sette stagioni che fanno la storia del calcio italiano e non solo. Due scudetti, una Coppa Uefa, una Coppa Italia e una Supercoppa Italiana e un insieme di ricordi indelebili per tutta la tifoseria azzurra, tramandati anche alle generazioni successive, di chi non ha potuto vederlo dal vivo.
In mezzo, la cavalcata trionfale di Messico 1986, con la vittoria, con la maglia dell’Argentina, della Coppa del Mondo, e i due gol probabilmente più celebri della storia del gioco, nella partita contro l’Inghilterra. ‘La Mano de Dios’ e subito dopo ‘El gol del siglo’, il dribbling a cinque giocatori, palla al piede, partendo da centrocampo, prima di depositare la palla in porta. ‘De que planeta viniste, barillete cosmico’, urla il telecronista Hugo Morales, consegnando quel momento alla storia.
Fuori dal campo, personaggio, come noto, dalla vita privata controversa, che ne ha segnato anche la parte finale della carriera, con la doppia squalifica per doping, al Napoli nel 1991 e con la maglia dell’Argentina ai Mondiali di Usa 94. Dopo l’addio al Napoli, un anno al Siviglia, quindi il ritorno in patria con Newell’s Old Boys e ancora Boca Juniors, prima dell’addio al calcio giocato nel 1997. Da allenatore, una carriera non altrettanto entusiasmante, sulle panchine della sua Argentina (condotta ai Mondiali 2010 in Sudafrica), di Al-Wasl, Fujairah, Dorados e Gimnasia la Plata. Il ricordo di cosa ha rappresentato sul campo rimane però indelebile, non sporcato minimamente dalle cadute. El Diez per eccellenza, se ce n’è uno.
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