L’ingegnere Mauro Marchionni racconta in esclusiva a Yeslife la sua esperienza: è riuscito a curarsi da solo risolvendo un problema di salute
Abbiamo avuto l’occasione di intervistare l’ingegnere Mauro Marchionni. L’uomo soffriva di una rara malattia, l’Angina Prinzmetal, di cui nessuno veniva a capo fino a quando è riuscito da solo a trovare la soluzione al problema. Grazie all’analisi di testi di fisiologia vascolare e all’uso di betabloccanti, è riuscito a trattare il cuore come una pompa idraulica e a curarsi senza l’aiuto di nessuno. La medicina però di fronte al suo caso si è limitata a “girare i tacchi” senza al momento convalidare il suo studio.
Come e quando si è accorto di avere qualcosa che non andava?
Circa sei anni fa mi sono accorto che, in certe condizioni, non riuscivo a fare più di 50 m a piedi senza dovermi fermare con il cuore in gola. Inoltre, e questo è più grave, mi venivano attacchi fortissimi di angina anche durante il riposo o il sonno, con pressione che saliva improvvisamente anche a 250 mm/Hg
I dottori, gli esperti non hanno mai capito cosa avesse e da solo è riuscito a bloccare gli attacchi, come le è venuto in mente di provare con i betabloccanti?
Non è proprio così: la diagnosi di angina instabile (detta anche angina Prinzmetal) mi è stata fatta subito ma protocolli terapeutici certi, univoci e consolidati per la sua cura non esistono. Tra i vari tentativi terapeutici la letteratura, in effetti, consiglia anche i betabloccanti ma non li indica mai come farmaci primari e risolutivi. La mia analisi fluidodinamica della malattia mi ha fatto invece pensare che la sua causa scatenante fosse una scarica di adrenalina e, di conseguenza, ho provato ad assumere un betabloccante che, tra le sue funzioni principali, ha quello di bloccare gli effetti della adrenalina e della noradrenalina
Dai betabloccanti allo studio, qual è stato il passo?
Brevissimo. Appena assunto un betabloccante sono passato da crisi quotidiane a una situazione di completa assenza di crisi anginose e tale assenza dura ormai da almeno tre mesi
Cosa ha fatto dopo aver scoperto che la cura stava funzionando?
Ho scritto un articolo scientifico particolareggiato cercando di comunicare il fatto ad alcuni cardiologi di mia conoscenza ma tutti si sono rifiutati di leggerlo malgrado dicessi chiaramente che la cosa più importante da verificare scientificamente fosse il fatto sperimentale che a me fosse completamente passato ogni sintomo anginoso mentre, ovviamente, la mia interpretazione ingegneristica del fenomeno era solo una ipotesi da eventualmente discutere ed approfondire ma non certo da approvare aprioristicamente.
Lei ha vissuto sulla sua pelle il caso, ma oltre a lei dietro al progetto di ricerca c’è qualcun altro?
No. Ho cercato di coinvolgere qualche medico ma senza nessun risultato
Secondo lei perché la medicina non ha mai accettato il suo studio?
Basta ricordare, uno su tanti, il cosiddetto “effetto Semmelweis“ secondo il quale l’establishment scientifico, in ogni campo della scienza, è inizialmente portato a rifiutare una nuova scoperta e preferisce combattere piuttosto che sostenere l’autore se contraddice norme o credenze diffuse. O potremmo chiamarlo anche “Effetto Bellarmino”, il cardinale che, invitato da Galileo, si rifiutò di guardare nel cannocchiale per timore di dover rivedere sue convinzioni teologiche pregresse. Da uomo di scienza, e dopo mezzo secolo di attività scientifica, posso tranquillamente affermare che l’effetto Bellarmino è la normalità nella scienza e nella tecnica – specialmente in Italia – mentre la accettazione e la curiosità verso idee nuove è la rarissima eccezione. Vi ricordo che Bellarmino (perfetto esemplare di “cretino”) fu fatto addirittura santo mentre Giordano Bruno, che aveva perfettamente ragione, fu mandato al rogo e Galileo ci andò molto vicino se non avesse “ritrattato”. E che Copernico vide accettate le sue sacrosante ma rivoluzionarie idee solo sul suo letto di morte…e così via in un infinito numero di esempi.
Cosa si sente di dire oggi al riguardo?
Che non ho ancora perso la speranza che qualche esponente della classe medica si lasci sopraffare dalla santa “curiosità scientifica” per cercare di capire che cosa mi sia veramente successo e scenda dal piedistallo di “medico-stregone” per discutere con un “alieno” di cose mediche. Mi permetto di ricordare in proposito che durante tutti i miei decenni di insegnamento universitario iniziavo sempre il mio corso di Oleodinamica alla Facoltà di Ingegneria (Meccanica) con l’aneddoto del calzolaio: ragazzi, dicevo, quando avrete finito il progetto della nuova macchine che vi è stata commissionata, fatelo vedere a un calzolaio…e la domanda, a questo punto, era invariabilmente “professore ma perché i calzolai dovrebbero conoscere la meccanica meglio degli ingegneri meccanici?”.
….No, rispondevo, non è così, ma il calzolaio vedrà la vostra nuova macchina da un punto di vista che a voi sarà praticamente precluso e potrebbe vedere aspetti che a voi sono sicuramente sfuggiti – “potrebbe, ovviamente”.