Paolo Rossi, le parole dell’amico di sempre: “Lo capii subito…”

“Lo vidi giocare e capii subito” raccontava anni fa Francesco Nuti, regista campione d’incassi e amico fraterno di Paolo Rossi.

Paolo Rossi ricordo amico Francesco Nuti
Paolo Rossi (foto da instagram)

Quante volte vi ritrovate a sbirciare la biografia delle star solo per sapere quanti figli hanno o com’erano da giovani? Quante volte avete desiderato sapere qualche aneddoto in più riguardo al vostro mito televisivo o calcistico? Yeslife vi racconta questo ed altro, in una rubrica ricca di retroscena e piccoli momenti “dietro le quinte” dei personaggi più amati del momento (e non solo).

Oggi, in onore di Paolo Rossi, spentosi lo scorso 9 dicembre all’età di 64 anni, ricordiamo un momento della sua adolescenza che fece capire all’amico Francesco Nuti di trovarsi davanti ad un genio del pallone.

Paolo Rossi, il ricordo dell’amico Francesco Nuti

Paolo Rossi e Francesco Nuti si conobbero sul finire degli anni ’70 in un ritiro del Nucleo Addestramento Giovani Calciatori a Coverciano. Nessuno dei due al tempo avrebbe potuto immaginare che di lì a poco sarebbero diventati entrambi “campioni del mondo”, anche se in ambiti differenti.

Nuti, più grande di un solo anno, sognava allora di diventare un calciatore di successo e, a detta di molti, le sue speranze non erano vane. Sapete chi dormiva accanto a me?” scriverà più tardi nella sua autobiografia. “Esatto, proprio Paolo Rossi. Lo vidi giocare e capii subito che le mie chance di fare una luminosa carriera erano ridotte al lumicino”.

L’incontro con “Paolo Rossi, Pablito, il Re dei Mondiali dell’82” – come lo definirà lui stesso – fu per Nuti al contempo un trauma ed un’illuminazione. Realizzando di non poter eguagliare le capacità dell’amico, il futuro regista decise di imboccare tutt’altra strada, trovando in questa la sua massima realizzazione.

 

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Anni dopo, nel 2018, Paolo Rossi accetterà senza esitazione di girare insieme ad Enio Droandi un docufilm dedicato a Nuti, a dodici anni dall’incidente che lo ha privato della parola e della capacità di muovere braccia e gambe. Drovandi ha sempre sottolineato la naturalezza e la semplicità con cui l’attaccante volle essere di conforto all’amico, segnando anche, in quell’occasione, l’ultimo tiro in porta della sua vita.

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