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Casi

Luigi Chiatti; Il serial killer di bambini conosciuto come “Mostro di Foligno”

Luigi Chiatti, Il Mostro di Foligno, è stato un serial killer di bambini che colpiva nei pressi di Foligno, nei primi anni ’90. Ecco la sua storia.

Luigi Chiatti (web image)

1992. Un anno particolare. A Milano incomincia l’inchiesta Mani Pulite che segna così l’inizio di Tangentopoli. È l’anno dell’omicidio dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino in due attentati mafiosi. San Marino entra nelle Nazioni Uniti. Inizia la Guerra in Bosnia. Pablo Escobar scappa di prigione temendo l’estradizione negli Stati Uniti. Ed è proprio il giorno in cui un Boeing 747 precipita su Amsterdam uccidendo 43 persone che tutto ha inizio; il 4 ottobre 1992.

È domenica pomeriggio. Un giorno di festa, soprattutto in Umbria; è il giorno di San Francesco d’Assisi. Ma non c’è aria di festa a Foligno. Piuttosto paura, angoscia e preoccupazione. Simone Allegretti è scomparso. Si tratta del figlio del benzinaio di Maceratola. Ha solamente 4 anni. Dopo pranzo, è andato a giocare sotto un albero di noce, i genitori erano in casa ma sentivano la sua voce, fin quando non l’hanno sentita più. La mamma corre fuori, avvolta da una sensazione di angoscia. Ma Simone non c’è più. Vengono immediatamente allertate le forze dell’ordine, e cominciano così le ricerche che andranno avanti anche tutta la notte. Del piccolo Simone non c’è traccia. L’incubo di ogni genitore. La paura di ogni bambino.

Fra le ipotesi peggiori si pensa subito anche a quella del rapimento, ma non per chiedere un riscatto. È chiaro a chiunque che la famiglia Allegretti non potrebbe mai permettersi di soddisfare qualunque tipo di richiesta di denaro. Poiché non ne possiede molto. Poi, due giorni dopo, succede qualcosa di altrettanto sconvolgente. Una lettera. Una lettera scritta con un normografo trovata in una cabina telefonica. 

Recita così:

“AIUTO! AIUTATEMI PER FAVORE.

Il 4 ottobre ho commesso un omicidio. Sono pentito ora anche se non mi fermerò qui. Il corpo di Simone si trova vicino la strada che collega Casale (fraz. di Foligno) e Scopoli. È nudo e non ha l’orologio con cinturino nero e quadrante bianco. 

P.S non  cercato le impronte sul foglio, non sono stupido fino a questo punto. Ho usato dei guanti.

Saluti al prossimo omicidio.

Il Mostro”. 

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Il Mostro di Foligno, chi è veramente

Carcere (Getty Images)

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Una sfida alle forze di polizia? O una richiesta d’aiuto? Sembrerebbe più la seconda. Pare che capisca l’atrocità dei suoi gesti, ma che comunque non riesca a fermarsi. Sembra che voglia dire Prendetemi. È l’unico modo per fermarmi. La polizia si reca immediatamente nel luogo descritto nella lettera. E lì trovano il corpo di Simone. Nudo. Freddo. Senza vita.

Foligno è in lutto. È una piccola città mai stata abituata a casi particolarmente gravi, e quello che è successo al piccolo Simone ha sconvolto gli animi pacati e tranquilli della gente del posto. Poco tempo dopo la polizia riceve una chiamata “Sono io il Mostro, ho ucciso Simone Allegretti”. Stefano Spilotros dichiara di essere lui il ricercato. Di aver commesso lui l’omicidio del piccolo Simone.

Ma nel giro di poco tempo diventa evidente che Stefano Spilotros non sia altro che un mitomane patologico. Confermato anche da molti suoi colleghi e conoscenti oltre che aver fornito sempre versione leggermente diversa ogni volta che ha dovuto raccontare l’accaduto. Ma ad un certo punto, nella stessa cabina telefonica dove era stata trovata la prima lettera, eccone una seconda:

“NON RIESCO A FERMARMI.

Io sono ancora libero.

Avete in mano un ragazzo che non ha nulla a che fare con l’omicidio.

Non avete la mia voce registrata perché non ho effettuato nessuna telefonata.

Vi consiglio di sbrigarvi, evitando altre figuracce. Usate il cervello, se ne avete uno ancora buono.

Ho deciso di colpire di nuovo la prossima settimana.

Il Mostro”.

Il panico dilaga. Le indagini si intensificano ma sono ad un punto morto. Fin quando sabato 7 agosto 1993, a Casale, accade qualcosa. Qualcosa di orribile. Qualcosa che si era cercato di evitare fino a quel momento; Lorenzo Paolucci scompare. Ha 13 anni e dopo essersi stufato di fare i compiti, decide di andare a fare un giro in bicicletta. Non è mai tornato.

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Parco di notte (foto di Sveva Lodi)

Il suo corpo viene trovato nel bosco, talmente massacrato che è a malapena possibile riconoscerlo. Questa volta però si riesce a individuare una specie di striscia nel terreno, quasi come un sentiero impercettibile. Come se fosse stato fatto da qualcuno che trascinava un sacco, o qualcosa di pesante che ha appiattito l’erba e schiacciato il terreno. Qualcosa come un cadavere. Inoltre, vengono anche trovate delle gocce di sangue e l’orologio di Lorenzo. La “striscia di terreno” si interrompe sotto le finestre di una casa presente alla fine del bosco. La casa delle vacanze di Ermanno Chiatti, il cui figlio Luigi, geometra 25enne, ci ha passato tutta la settimana. Anche lui, come tanti altri del paese è uscito per partecipare alle ricerche per la scomparsa di Lorenzo.

Troppe prove tradiscono Luigi. In casa vengono trovate macchie di sangue e il pavimento, che presenta tracce ematiche, è stato ripulito proprio prima dell’arrivo della polizia. Luigi nega tutto. Dice di essere stato incastrato. Ma le prove sono schiaccianti. Dopo un po’, con una lucidità disarmante, confessa.

Il suo vero nome non è Luigi Chiatti, ma Antonio Rossi. Il giorno in cui è nato, la madre lo ha abbandonato in un orfanotrofio. La sua infanzia è stata caratterizzata dagli abusi sessuali subìti da un parroco per la durata di sei lunghissimi anni. Finché Ermanno e Giacoma Chiatti non decidono di adottarlo per provare a dargli una nuova esistenza. Per provare a salvarlo. Ma la personalità di Antonio è ormai formata e con il tempo va solo a peggiorare. Non è solamente attratto sessualmente dai bambini, no. Lui li vuole crescere. Li vuole avere con se. Li vuole possedere. Riempie la mansarda di casa sua di giocattoli e cose per bambini, come se si stesse preparando.

Poi, ecco la sua grande occasione, il 4 ottobre 1992.

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