A trent’anni di distanza dalla strage del Pilastro, il fratello di uno dei carabinieri uccisi chiede la riaperture delle indagini
Il caso noto come “la strage di Pilastro“, avvenuto il 4 gennaio del 1991, potrebbe conoscere una nuova svolta con la riapertura delle indagini chiesta, con forza, da Ludovico Mitilini, fratello di Luca Mitilini, uno dei tre carabinieri uccisi in quella circostanza.
Sarebbero troppi, secondo il Mitilini, gli aspetti oscuri e le incongruenze nella ricostruzione della vicenda che portò alla morte di tre carabinieri; a causarla la scarica di ben 222 proiettili per mano dei componenti della banda della Uno Bianca.
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A chiedere la riapertura del caso sulla strage avvenuta trent’anni fa a Bologna il fratello di una delle vittime, Ludovico Mitilini, che avrebbe portato alla luce una serie di incongruenze nella ricostruzione dell’episodio.
Il 4 gennaio del 1991, infatti, tre giovani carabinieri, Otello Stefanini, Andrea Moneta, Mauro Mitilini morirono sotto i colpi di 222 proiettili scaricati dai fratelli Savi; il nucleo originario di quella sarà nota come la banda della Uno Bianca. L’organizzazione operò dal 1987 al 1994 seminando il terrore in alcune province comprese tra l’Emilia e le Marche.
Oggi Ludovico Mitilini chiede una nuova analisi che chiarisca alcuni punti poco chiari. In particolare, la versione rilasciata all’epoca dei fatti dai fratelli Savi, che avrebbero ucciso per impadronirsi delle armi dei militari, convincerebbe poco. Allo stesso modo, suscita perplessità l’accanimento sui corpi dei tre giovani. La loro presenza inoltre in via Casini, nel quartiere Pilastro di Bologna, appare ingiustificata; i tre carabinieri avrebbero dovuto effettuare il loro servizio altrove. Infine, alcune tra le testimonianze rilasciate, sulla presenza della complicità di un quarto uomo mai “identificato, furono ignorate.
Questi, dunque, gli elementi ancora in gioco per il fratello di Mauro Mitilini che lamenta anche l‘impossibilità, a causa delle misure anti-Covid, di poter partecipare alla cerimonia commemorativa.
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Appare invece stupita di queste dichiarazioni Rosanna Zecchi, presidente dell’associazione delle vittime, che ribadisce la necessità innanzitutto di attendere la “digitalizzazione degli atti”.
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