Massimo Bossetti è disperato e dal carcere urla e invoca aiuto, spiegando la sua posizione. Continua a dichiararsi innocente e lancia un appello.
Massimo Bossetti è stato accusato di omicidio nei confronti di Yara Gambirasio morta dieci anni fa nel centro sportivo di Brembate di Sopra.
La tredicenne era scomparsa dopo essere stata nella palestra che frequentava abitualmente e il suo corpo è stato ritrovato dopo tre mesi esatti, il 26 febbraio 2011 da un aeromodellista, a Chignolo d’Isola, a 10 chilometri dal luogo della scomparsa.
Sul cadavere sono stati trovati i segni di una violenza, un trauma cranico, una profonda ferita al collo e almeno sei ferite da taglio.
L’efferatezza ebbe un grande clamore mediatico e quando il muratore di Mapello fu accusato di averla commessa, fu visto come un ‘mostro‘ da tutti.
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L’appello di Massimo Bossetti
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Le sue parole sono state: “Aiutatemi aiutatemi aiutatemi, sono disperato. Toglietemi di dosso sta ca**o di devastante etichetta o dentro di me non troverò la pace. Per favore statemi tutti vicini e aiutatemi seriamente a far sì che la disperazione non prenda il sopravvento”.
E poi parla della sorella che ha dichiarato di voler cambiare il cognome per distaccarsi da lui: “Non credo di dover sperperare ai quattro venti come quella persona è abituata le cose private e familiari solo per mettere in risalto la propria visibilità e notorietà. Quella persona ha preferito voler soffocare l’affetto, sostituendo il proprio cognome, cosa che non condivido affatto, per niente … Avendo lei stessa affermato più volte di volermi bene e di credere nell’assoluta mia innocenza, a maggior ragione, avrebbe dovuto ancor più lottare con le unghie a denti stretti e a spada tratta, con tutta la forza necessaria, tenendo ancor più alto e vivo il proprio cognome che tanto ci accomuna”.
Nel novembre 2019 la Corte d’Assise di Bergamo aveva autorizzato a riesaminare i reperti, tra cui gli indumenti della ragazza uccisa e il DNA e proprio riguardo questa sentenza Bossetti ha sottolineato: “Yara non ha avuto giustizia, io sono dietro le sbarre ma non sono il colpevole.”
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“Io non voglio uscire per un cavillo, voglio uscire perché la perizia sul Dna dimostra che non sono un assassino”, ha concluso il muratore accusato dell’omicidio.