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Interviste

Il mondo di N.A.I.P.: intervista al genio musicale di X Factor

Intervista a N.A.I.P., genio musicale di X Factor. Dalla tv a «Nessun Album In Particolare»: il piacere di far musica ed uno sguardo verso il futuro.

N.A.I.P. (foto Sky)

Michelangelo Mercuri, in arte N.A.I.P. (acronimo di «Nessun Artista In Particolare»), è un cantautore a tutto tondo, un genio della musica strumentale ed un sapiente selezionatore di parole. I suoi testi mescolano la lezione di quelli che lui stesso definisce i «padri fondatori» della musica con i concetti più tipici della modernità, accompagnandoli – o meglio, inserendoli – in un sistema di sensazioni sonore originali e sempre nuove.

In esclusiva a Yeslife, N.A.I.P. rispolvera alcuni retroscena dell’esperienza di X Factor, regalandoci uno spaccato sui sogni e le ambizioni di un ragazzo dalla personalità caleidoscopica, che ha incanalato nella musica la sua indomabile energia.

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Ciao N.A.I.P., grazie di aver accettato di essere nostro ospite. Come stai? Come descriveresti questo periodo “post-X Factor” in termini di sensazioni ed ispirazione? 

Sto bene, soprattutto perché sono tornato in Calabria e mi hanno riempito di cibo (ride). Mi sono molto rilassato ed era proprio quello di cui avevo bisogno dopo il periodo di X Factor, che mi ha fatto vivere davvero una realtà parallela. Sono in una sorta di fase di decompressione esistenziale, dovendo passare da X Factor ad una realtà che è comunque molto strana. Però devo dire che sto bene. Mi sto rilassando, ma sto preparando anche alcune “cosucce” per questo nuovo anno.

Sei decisamente un artista sui generis, almeno per gli standard radiofonici e televisivi. Pensi che ad X Factor ti abbiano lasciato il 100% di libertà artistica o ti sei sentito per certi versi limitato? 

All’inizio avevo molta paura che questo potesse accadere, ma poi ho sempre imposto quella che era la mia idea dei brani. Il programma mi ha lasciato molta libertà artistica, ma sono stato anche io stesso a prendermela. È sempre stata una discussione paritaria tra me e i direttori artistici. Si sono creati un insieme di processi creativi e di brainstorming, piuttosto che far valere la mia idea rispetto alla loro, però sì, devo dire che mi è stata lasciata molta libertà. 

In semifinale hai cantato “Milano circonvallazione esterna” davanti a Manuel Agnelli. Alcuni ti hanno definito un pazzo, ma con il senno di poi è stata una mossa vincente, una decisione “di cuore”. Parlaci un po’ di quell’esibizione.

Ho sempre visto quella canzone non tanto come una cover, ma come un brano che fa parte di me. In realtà non l’ho mai vissuta con paura, anzi, non vedevo l’ora di farla. È un brano a cui sono molto affezionato. Per quanto riguarda Manuel, lui è stato il primo a dirmi che sono un pazzo quando lo ha saputo. Quando quel pomeriggio mi ha visto, mi ha detto “Tu sei un pazzo, però hai le palle” e lo ha ripetuto anche nel commento che ha fatto in televisione. Tra l’altro, dopo l’esibizione è anche venuto ad abbracciarmi e mi ha ringraziato molto. È stata una cosa che mi ha fatto un gran piacere, oltre ad essere stata totalmente surreale. Cioè, io che facevo un brano degli Afterhours davanti a Manuel Agnelli… è stato pazzesco! Credo che prenderò pienamente coscienza di questa cosa solo tra qualche mese (ride).

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Nei commenti sotto ad uno dei tuoi video si legge: “Finalmente qualcuno che costringe a pensare per poter capire”. Penso sia vero solo a metà. La tua musica è fatta di concetti, ma anche di molte sensazioni “fini a se stesse”. Cosa ne pensi a riguardo?

Io mi muovo sempre su due livelli: quello concettuale e quello estetico. Per me chi ascolta un brano e lo apprezza musicalmente o ad un primo livello di lettura non ha differenze con chi lo apprezza a più livelli di lettura. L’estetica ed il concettuale sono due livelli di un’opera e l’opera è qualcosa che ha una vita propria. Io stesso, dopo che la canzone prende vita, divento un suo spettatore, quindi non mi sento di andare a giudicare chi è a sua volta spettatore e magari ne apprezza solo il lato musicale. Alla fine la musica è soprattutto estetica, poi dentro ci sono i contenuti, però ecco, la musica è soprattutto estetica per me. 

Quanto è importante la qualità di un prodotto artistico in un periodo storico in cui tutto è veloce, semplificato ed effimero? Ci sono degli artisti contemporanei che secondo te riescono in questa ardua impresa di “emergere” da quella fiumana di gente che canti in «Attenti al loop»?

Sì, sicuramente, ci sono personaggi che stimo molto e che mi ispirano. È anche grazie a loro se faccio quello che faccio, cercando di non rientrare in quelli citati in «Attenti al loop», ma dando un contenuto, una qualità al mio progetto. Parlo di artisti come Iosonouncane, Andrea Laszlo De Simone o Brunori. Sono artisti che non sono per forza famosi, ma che a me danno molto ossigeno e mi fanno sentire “accompagnato” nel tentativo di dare qualità, nonostante la velocità e la quantità abbiano preso e prenderanno sempre più piede. La velocità in particolare è qualcosa che ci sta facendo vivere gli ultimi dieci anni come se fossero cento. Non dobbiamo piegarci al pensiero di diventare quei quindici minuti di una storia su Instagram, sennò finiamo per demotivarci. Il dominio della realtà non è solamente quello. Diciamo che grazie anche a questi artisti, cerco di dare anche io il mio piccolo contributo alla storia della qualità.

Proprio riguardo ad «Attenti al loop», per certi versi mi ha ricordato «Mi fa male il mondo» di Gaber. Premesso che il tuo nome d’arte rigetta questi accostamenti azzardati, credi che ci sia qualcosa in te di quella vena dissacratoria e in quella critica sociale tipica di Gaber?

Sicuramente. Gaber, come De André, Dalla o Battiato rientrano in quelli che io considero i miei ascolti “formativi”. Li ritengo un’esperienza quasi “scolastica”. Mi hanno dato molto, mi hanno formato, mi hanno insegnato e, anche se a volte non ci penso, io vengo da quel mondo lì. È un mondo a cui credo molto. A volte mi trovo a parlare di questi artisti con altri artisti che provengono da quella stessa realtà e mi rendo conto che questi grandi personaggi del passato sono visti come una sorta di padri fondatori di qualcosa, nonostante prima di loro ce ne siano stati altri. È come se si tramandasse qualcosa e ci si riconoscesse tra quelli che vengono da lì. È una sorta di “riconoscimento tra simili” che fa sempre piacere. Comunque sì, penso (bestemmiando, perché si sta parlando di Gaber, quindi di un mostro sacro del pensiero e della cultura umana) di far parte di quell’immaginario, dicendo però la mia a modo mio.

Gaber trova un antidoto al “male del mondo” nello slancio collettivo, nel riconoscimento delle comuni sofferenze. Esiste un antidoto al nichilismo tutto moderno cantato da N.A.I.P.? C’é qualcosa che si salva e che vale ancora la pena di “amare”?

Credo che il segreto sia rallentare, partendo dal quotidiano, anche solo togliendo la vibrazione al telefono e mantenendo la giusta distanza dal bombardamento mediatico a cui ci siamo abituati. Io credo che l’amore sia il grande argomento della vita e che derivi, dipenda e subisca molto del nostro modo di vivere. La canzone parla dell’amare, dicendo: “Ne risentirà l’amare di questo sistema meccanico che ci dice che tutti i giorni c’è qualcosa di nuovo da ascoltare, qualcosa di nuovo da imparare, qualcosa di nuovo di cui ancora non sappiamo nulla? Quando avremo una relazione, avremo voglia di qualcosa di nuovo costantemente, così come ci accade con la musica?”. Io credo che sfuggire ognuno a modo suo alla velocità e alla frammentazione, che sono diventate ormai l’abitudine, possa essere una soluzione. Parlando di me, della mia personale esperienza fatta di tentativi che a volte vanno bene e a volte non vanno bene, trovo che funzioni. C’è il rischio di non rimanere aggiornati e al passo con i tempi, ma poi alla fine i tempi si aggiornano lo stesso da soli. È una sorta di compromesso spazio-temporale.

Se ci pensi, quello dello “sfuggire del temp”o è proprio il grande tema della modernità. Credo che in questo tu sia davvero l’artista adatto a questo periodo storico.

Grazie, io sono da sempre molto legato all’ultimo libro di Italo Calvino, Lezioni americane, che poi non è proprio un libro, ma una serie di conferenze che lui non ha mai tenuto. Nel primo capitolo parlava della velocità, di come la velocità sarebbe stata un tema importante del nuovo millennio, come poi effettivamente è stato. La velocità ed il tempo sono temi davvero appassionanti.

Sembri uno che non lascia niente al caso, ma anche uno che non vuole “farsi capire troppo”. Puoi raccontarci il significato dietro alla copertina del tuo EP o preferisci lasciarlo alla libera interpretazione? 

Se vuoi ti posso dare la mia libera interpretazione. Io credo molto al fatto che ogni opera, che sia una canzone, un quadro o un film, nel momento in cui viene prodotta non è più dell’artista. È come se fosse una figlia che scappa di casa. Io posso dare un parere da ascoltatore dei brani che ho fatto e da spettatore della mia copertina. Per me quella copertina trasmette violenza e vanità ed è come se questa vanità e questa violenza si trovassero nello stesso capitolo di “qualcosa”. Il riflesso, lo specchio, la ripetizione… ci sono degli elementi che portano a fare determinate associazioni con dei temi. I temi poi si ritrovano nei brani e fanno venire in mente altre cose. Non penso che dirò più di questo a riguardo (ride).

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Hai compiuto 30 anni a X Factor. Raccontaci un retroscena divertente.

L’anno scorso, quando ho fatto 29 anni, stavo facendo il cameriere. Ho finito la serata da cameriere, sono stato a vedere l’ultima parte di un concerto al Covo a Bologna (suonavano gli Animatronic) e poi sono tornato a casa. Quest’anno ho festeggiato i 30 mentre preparavo la produzione di un brano per la diretta nazionale di un programma importante. Più che pensare al 30esimo anno in sé (che è un numero che vuoi o non vuoi non passa inosservato), mi piace pensare al parallelo con quella che era la mia vita lo stesso giorno l’anno precedente. È una differenza che mi fa molto sorridere. Per il resto, lì dentro ogni giorno era uguale all’altro.

Ma è vero che i 30 sono i nuovi 20? Che progetti hai per il prossimo decennio?

C’era qualcuno che diceva che l’adolescenza ce la portiamo dietro fino alla vecchiaia. Tra i 16 e i 18 si ha un certo grado di maturazione, ma da quel momento in poi saremo le stesse persone fin quando non torneremo bambini, cioè fin quando non diventeremo vecchi. Io credo di avere un entusiasmo veramente rinforzato, rinvigorito da tutto quello che sta accadendo e che sto progettando. Ho sempre avuto un fortissimo entusiasmo per quello che faccio, ma è un po’ come se questa cosa mi avesse ribattezzato (sorride). Adesso ho l’entusiasmo non solo di un ventenne, ho l’entusiasmo di un quindicenne. Non mi viene mai da pensare al fatto che “sto diventando vecchio”. Io penso sempre a David Bowie. So che è un paragone esagerato, ma per me un uomo che a 69 anni si inventa ancora una volta un concetto artistico, nonostante l’età e la malattia, mi fa venire veramente i brividi e mi fa pensare che i 30, i 40, i 50, i 20 siano solamente dei passaggi attorno a qualcosa di più grande che uno deve “mettere insieme”. Mi sento solo in una fase che ha un nuovo numero.

 

Costanza Bordiga

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